Circondato.
La sensazione, già provata troppe volte, è quella di essere nel posto
sbagliato.
Mi ripeto che è il mio lavoro, che il mio sostentamento è legato
anche a queste riunioni, che c’è chi sta peggio.
Eppure,
il ronzio nella mia testa continua incessante.
- Possiamo cominciare allora. Prendete
cortesemente posto
E
pensare che l’ultima volta era stato tutto il contrario. Un contesto formale,
cravatte, pose calcolate, frasi di circostanza. Falsi, avevo detto trattenendo
la voglia di urlare il mio disgusto. Falsi e figli di un mondo che non mi
appartiene, edificato su menzogne ed ingiustizie.
Oggi,
invece, niente cravatte. Persone vestite in modo casual, senza particolare
cura.
- Ciao, piacere Corrado Savelli
Bisbiglia
la persona accanto a me, mentre sfoggia un sorriso da sopra la sua
t-shirt blu.
Io, ingessato nel vestito con tanto di cravatta rispondo a mezza bocca,
semplicemente pronunciando il mio cognome, sperando che sia sufficiente. Mi ha
dato del tu, penso.
Forse
è una mancanza di rispetto, forse no. Eppure mi sento infastidito.
- Signori, per favore. Cerchiamo di dare
inizio ai lavori
Siamo
già con un’ora di ritardo. Nessuno sembra preoccuparsene, anzi. Nessuna
formalità, ma qui si esagera.
Non
va bene, neanche questa volta. Due riunioni, due realtà antitetiche che hanno
generato in me la stessa sensazione di disagio. Due mondi opposti che non
riescono a farmi sentire parte del sistema. Le parole del presidente (ma chi è
che ha preso la parola?) procedono senza che ne colga davvero l’essenza.
C’è
un’unica verità. Tutto ciò che non va è dentro di me.
Gli
altri, loro, sono ben inseriti nel
contesto, oggi come le altre volte. Sono io, il mio lavoro, forse la mia vita
ad essere del tutto sconnessi.
- Grazie
Salgo
sul palco ringraziando per l’invito e spendendo qualche parola di circostanza.
Espongo
il mio intervento.
Qualcuno chiacchiera con la mano davanti alla bocca, qualcun
altro sfoglia pagine su un tablet sbadigliando. Alla
fine un applauso.
Ringrazio mentre ripongo i fogli nella cartellina che porto
con me insieme al vestito con tanto di cravatta. Torno al mio posto chiedendomi
quale sia la percezione di quella gente nei miei confronti.
Ricaccio il
pensiero indietro evitando di darmi una risposta.
La riunione
prosegue senza che il mio disagio si plachi.
Torno
in ufficio e solo a tarda sera mi dirigo verso casa.
I
miei pensieri ripercorrono la giornata e le sensazioni che ho provato. Poi
entro in casa e trovo sorrisi ad accogliermi. I miei cari, le mie passioni, le
mie cose. Sono tutto fuorché un pesce fuor d’acqua.
È
notte.
Sono
vivo.