Miyajima

Miyajima

mercoledì 29 ottobre 2014

Il Circolo Trevi - Intervista a Raffaele Ravelli



A tu per tu con uno dei protagonisti del libro.

Emiliano Sclame: Buongiorno Raffaele. È un piacere intervistarti quando mancano davvero pochi giorni all’uscita de “Il Circolo Trevi”, romanzo in cui sei un assoluto protagonista.

Raffaele Ravelli: Grazie. Anche per me è un’occasione piacevolissima.

ES: Cominciamo con le tue impressioni. Come è stato collaborare nel romanzo?

RR: È stata la nostra prima collaborazione ed il progetto mi è piaciuto sin da subito. Non voglio svelare nulla sul mio personaggio, ma devo dire che è un uomo in cui mi rispecchio, almeno in una buona parte. Un lavoratore a volte testardo, convinto delle proprie opinioni, pronto a non fermarsi alle apparenze.

ES: Un personaggio positivo comunque.

RR: Sì, senza dubbio. Arriva a compiere azioni difficili da difendere, però agisce sempre in nome di una morale profonda radicata in lui.

ES: Per te come è stato interpretarlo?

RR: Nel complesso è stato magnifico interpretare un tale personaggio. Se da un lato, come dicevo, mi rivedo in lui, dall’altro è un personaggio distante dalla mie corde. Quindi, in alcuni momenti, ho dovuto faticare veramente. È un personaggio introverso, che a volte preferisce la solitudine e che si apre poco con le persone che gli stanno intorno. Io sono tutto il contrario!

ES: Già, mi vengono in mente alcuni momenti in cui è solo, oppure in compagnia di Tiziano Lo Monaco, ed è alle prese con i suoi pensieri, i suoi timori e le scelte difficili che è chiamato ad effettuare.

RR: Vero. Soprattutto con Tiziano, come personaggio del libro, ho vissuto momenti difficili.

ES: Come è stato invece lavorare con lui?

RR: Non ho avuto problemi. È una persona molto attenta e, secondo me, il suo personaggio è veramente complesso e difficile da interpretare. Devo dire che ha fatto un lavoro straordinario.

ES: Avete recitato molto insieme. Ricordi qualche momento in particolare?

RR: Sicuramente l’ultima parte del libro è stata impegnativa. Siamo stati molto insieme e molte scene le abbiamo dovute ripetere perché hanno richiesto uno sforzo in più da parte nostra. Se vuoi una scena in particolare, ricordo il viaggio a Barrea e l’incidente in auto.

ES: Qual è stato lo stato d’animo durante l’incidente?

RR: Io ho avuto paura, ma non ho dovuto mascherarla. Per fortuna, anche nel libro il mio personaggio ha paura. Tiziano invece, ha mostrato grandi capacità in quel momento.

ES: Come ti sei trovato con gli altri personaggi? Con chi ti hai legato di più?

RR: Il clima è stato positivo in tutto il libro. Abbiamo lavorato sodo, anche perché per molti di noi era il primo thriller, ma c’è stata una buona intesa. Ho stretto un buon legame con Spatia, anche se, come personaggi, non siamo andati molto d’accordo!

ES: No, infatti. Permettimi di chiederti come ti sei trovato con l’autore, cioè il sottoscritto.

RR: Ovviamente non posso parlare male (ride ndr). Scherzi a parte, è stato veramente intenso ed emozionante, tant’è che ho accettato subito e di buon grado la proposta di nuove collaborazioni.

ES: Devo dire che, anche per me, è stato molto piacevole e proficuo lavorare con te. Caro Raffaele ti ringrazio per il tempo che mi hai concesso.

RR: Grazie a te ed un caro saluto a tutti i lettori.
 
ES: Questa è la prima intervista di un ciclo legato ai personaggi de “Il Circolo Trevi”. Nei prossimi giorni le impressioni degli altri protagonisti.

mercoledì 22 ottobre 2014

L'emozione dello scrivere

 
Ogni volta, davanti alle parole che si rincorrono in un libro, sono attraversato da mille domande sulla vita dell’Autore. Se ha davvero provato le esperienze che descrive, se conosce o ha conosciuto in vita sua un personaggio tale e quale a quello che descrive, se quel personaggio non è altro che se stesso.
La domanda successiva è: chissà cosa ha provato mentre scriveva quel libro.
Sono domande che non avranno mai una risposta e, forse, è meglio così.

Però, nello scrivere, ho trovato alcune risposte. Ho provato sulla mia pelle alcune esperienze che, seppur diverse da persona a persona, ritengo possano soddisfare alcune delle mie curiosità.
Vi voglio raccontare quello che provo quando scrivo, quando permetto a dei fogli bianchi di riempirsi dando vita a storie più o meno complicate.

 

Qualcuno dice che la scrittura è dare forma ad un’idea iniziale, un embrione che si evolve tra modifiche successive ed intuizioni improvvise. In altre parole nella testa dell’autore non c’è subito tutta la storia, ma solo una buona idea iniziale che prende vita man mano.
A me capita spesso di essere spettatore delle mie storie, come se i personaggi vivessero di vita propria prendendo per mano i miei pensieri fino a trascinarli in intrecci del tutto imprevedibili fino ad un attimo prima. È da molto tempo che ho in mente questa metafora: scrivere è come lanciare un sasso dalla cima di una montagna. Sai esattamente cosa hai in mano e quali saranno i primi centimetri che percorrerà, ma hai solo un’idea di massima del tragitto che percorrerà per giungere a valle.
Già, perché quel masso rotola via saltando su un terreno disconnesso, urtando rami ed altri ciottoli, scavando il terreno e facendosi largo tra piccoli arbusti e asperità varie.
E tu stai lì, in cima a quel monte a seguire con lo sguardo le folli evoluzioni di quel masso che ti stupisce ad ogni rotazione, ad ogni urto, ad ogni cambio di direzione.

Vorresti vedere tutta la discesa d’un sol fiato, senza soste. Ma non puoi che interromperti e lavorare giorno per giorno, scoprendo che ogni volta sei di fronte ad uno scenario nuovo, con molti elementi mutati senza che te ne accorgessi, come se ci fosse una forza misteriosa che si diverte a trasformare il paesaggio, un diavoletto dispettoso di cui, in fondo, sai di essere innamorato.

Non è facile capire quanto sia autore e quanto spettatore. A volte, vorresti scrivere senza pause per sapere come va a finire, come se lo stessi leggendo quel romanzo. E se il libro è un thriller, allora ti viene davvero voglia di sapere se l’assassino verrà catturato, se il protagonista rimarrà in vita, se l’indiziato numero uno all’inizio della storia risulterà davvero essere colpevole.

Scrivere ti cattura, ti rapisce e ti maltratta. Non fai che pensare a soluzioni plausibili, intrecci verosimili e storie che siano in grado di catturare il lettore. Uno sforzo continuo che ti costringe ad addormentarti ogni sera pensando a quale possa essere il passaggio successivo o il personaggio in grado di far rimanere a bocca aperta chi legge. Sorprendentemente, alcune volte, al mattino hai bene in testa la soluzione che cercavi.

Ma, come dicevo poco fa, altre volte sei una vittima maltrattata. Perché quella pagina è capace di rimanere bianca per giorni o settimane, capace di essere scritta e poi cancellata senza appelli. È in quei momenti che il masso che hai lanciato si ferma a causa di un ostacolo che sembra insormontabile.
Tu metti la mano sulla fronte per debellare il riverbero del sole e vedere meglio il pendio, per capire quale sia il problema che non fa più rotolare quel masso. Ma niente da fare, quello se ne sta lì, irriverente e fastidioso.
Per fortuna, alla fine il diavoletto ci mette mano e dà un colpetto alla pietra che, proprio quando meno te lo aspetti, ritorna a rotolare veloce, pronta a raccontarti come andrà a finire.


mercoledì 15 ottobre 2014

Flake Music


Sono davvero felice, incredibile. 

Continuo a prendere sul serio le cose eppure, nonostante ciò, ho davanti a me ogni volta un nuovo disegno.

Perché sono così soggetto agli umori che la musica che ascolto mi genera?

Sono sempre stato convinto che quello  che conta, per vivere davvero bene,  possa essere riassunto in un quieto mantra come: “Vivi e lascia vivere”.

Ah ah ah, davvero divertente. Non c’è niente di meno vero pur essendo, lo riconosco, un bel motto da rivendersi con gli altri. Una di quelle cose da sputare fuori mentre lo sguardo non riesce ad alzarsi dalle tette di chi si ha davanti.

Non è così. Non lo è per me e non lo è per nessuno.

Quello che conta è rompere le palle al prossimo sforzandosi magari di andare contro se stessi. Questa è la vera regola.

Perché un breve passaggio di chitarra, una di quelle con il “treble” alto mi fa ancora venire la pelle d’oca?

Leggo sui giornali, svogliato, storie insensate e una costante ricerca di accumunare un popolo. Magari ricordando gli spot pubblicitari degli anni ’80.
Ah ah ah, di quei discorsi in cui ci si ricorda l’albero di natale, con le candele, il coro…

I gruppi che suonano indie rock sanno di essere indie rock?



Quante cazzate lontano dagli sguardi di chi non riesce a guardarci negli occhi. 

Ho la soluzione però, scendo giù in piazza,  mi fermo al primo tavolino del bar davanti la tabaccheria e rovisto qua e la tra chi insieme a me fa da Sfondo a tutto il resto. Vedo giovani bambini rincorrere altri loro coetanei sotto gli occhi stanchi dei loro genitori. Una ragazza sulla quindicina si avvicina al nonno, fermo davanti la sua edicola, e chiede informazioni su non so bene cosa.  Il cameriere si avvicina e mi serve il mio caffè.

Ho sempre invidiato quelle persone che continuano a suonare in gruppi underground pur  non avendo l’età anagrafica per poterlo fare. 
Quelli che suonano il loro basso come fosse ogni volta la prima volta. 
Quelli che terminano la loro esibizione imprecando gratuitamente.

Il fatto è che penso sempre a te.

Guardo le persone intorno correre via verso la prima stazione possibile, così come le signore anziane ritornare dalla messa del Sabato sera. Ricerco in ognuna di loro un ritratto di quello che potresti diventare.

Mi chiedo quanto tempo mi separi da tutto ciò.

Mi chiedo dell’oblio.

Voglio essere dentro ad ogni nota della mia Vita, dentro ogni pausa. 

Pronto ad ascoltare ogni distorsione che la realtà mi proporrà.