Miyajima

Miyajima

giovedì 31 ottobre 2013

Il tempo libero è un valore aggiunto?


Potrei iniziare da una di quelle frasi ad effetto tipo: “Voi avete gli orologi e Noi abbiamo il Tempo”. Figo, sì… davvero… ma Voi chi? Voi occidentali, business woman/man, body trainer, politici, impiegati, scontenti, anziani, bolognesi, alieni? Voi chi? E soprattutto, dire di avere il Tempo, quello con la “T” maiuscola, non è un po’ eccessivo? Forse no, dato il successo del detto, ma questa è un'altra storia. Avere Tempo dalla propria è realmente un valore aggiunto? Sappiamo davvero impiegare il Nostro tempo, qualora ci sia data l’opportunità di viverlo liberamente? Circondati da una costrizione latente il nostro impiego quotidiano è dettato da quel continuo tic-tac di azioni e programmazioni che ci rende apparentemente schiavi. La scuola, il  lavoro, la piscina dei piccoli, sistemare in cucina, fare la lavatrice, dormire. Anche quando dormiamo, sembra strano, non abbandoniamo il nostro tempo. Lo dilatiamo o lo accorciamo, in considerazione di ciò che sogniamo. La cosa divertente è che non saremmo in grado di vivere diversamente. Ad esempio, vi è mai capitato di sentire dalle persone che non possono prendere uno o più giorni di ferie perché non hanno organizzato nulla? Oppure quelle persone che, quando ci si vede per uscire, non fanno altro che chiederti il promemoria della serata? Che vuol dire ad esempio “a casa poi non so stare?” Perché dobbiamo occupare sempre il nostro tempo con qualche bugia dell’ultima ora? Personalmente credo di essere tanto invischiato nella faccenda che faccio fatica anch’io a credere di poterne venire fuori. Non vi nascondo che, per un po’ di tempo, non riuscivo a fare nulla che non desumesse dal mangiare tempo. Giornate intere trascorse a dare il tempo a qualcuno per avere poi la giusta ricompensa per mangiare e poi occupare nuovamente il mio tempo. Questa mattina ad esempio, essendo Sabato, ho deciso di scendere presto all’alimentari per cercare di liberare del “T” (da ora in poi lo chiamerò così). Il passo è breve, qualche minuto a piedi; ho imparato tanto sul “T” e lo apprezzo molto di più. Sono sceso dalla mia salumeria preferita. Improvvisamente capisco cosa vuol dire il vuoto pneumatico. Mi aggiro tra scaffali infiniti di cose buonissime e dolcissime. Inebriato da un po’ di tepore del mattino, tiepidamente allontanato dal  primo caffè della giornata, mi accingo al bancone della frutta. Scelgo e ancora riscelgo, nessuna presenza di “T” intorno. Credo di averlo fatto mio, poi improvvisamente mi avvicino al banco frigo: formaggi, affettati e quanto di più saporito per la mia gola. Ho quasi raggiunto il mio karma, intorno infatti vedo solo luce. Neanche le 09:00 (so che questo “T” lo sa) e capisco il senso più profondo del guadagnare “T”, o meglio di viverlo come valore. Arrivo al bancone della salumeria inebriato da afrori di asparago e pesca quando, il “T” di prendere il mio biglietto, mi fermo ad aspettare il mio turno. Davanti a me una simpatica Tina Pica de “noantri”.   Dall’altra parte un giovane, probabilmente precario, salumiere imberbe. Quello che accade ha dell’inspiegabile. Mi fermo ad ascoltare discorsi su cose incomprensibili quali: luoghi comuni, carovita, pensioni e via discorrendo. La ricorsività la fa da padrone mentre nel retro cranio penso da quanto la Signora è qui. La mia presenza evidentemente non è di peso anzi, il mio sguardo fisso non accelera un processo semplice quale l’acquisto di qualche affettato. Ecco allora che, passato qualche minuto (o almeno credo), inizio a guardare l’orologio. Ho liberato il mio spazio del mattino per cosa? Per stare qui? Mentre rifletto su questo, inizio a preoccuparmi delle mie preoccupazioni. E non è un gioco di parole il mio. Dico davvero. Di nuovo l’ha vinta “T”. Ho ripreso nuovamente a spazientirmi e, davanti all’ennesima citazione del figlio Gabriele, ho mollato la mia impresa e sono uscito. Carico di abbandono.

Sono tornato a casa  e seduto sul divano ho ripreso a guardare la TV, l’unico modo per capire quanto realmente sia importante avere del “T” libero. Ripenso a quanto mi sono sentito diverso, qualcosa del tipo: ”Ah, io non leggo giornali”. Vero. Mi sono immaginato davanti ad una di queste giovani peripatetiche del sabato sera a parlare di come la prossima guerra si terrà per l’acqua. Niente, non c’è stato modo, ho voluto far finta che tutto avvenisse semplicemente perché doveva. Del “T” mi interessa il giusto ormai, guadagnato o perso che sia. Sulla TV scorrono i titoli del telegiornale della mattina. Aprono le parole del presidente della camera: ”Italiani, non dobbiamo perdere tempo…”.
Ci risiamo.
Spengo la TV e lascio che “T” si riprenda quanto di proprietà.

venerdì 25 ottobre 2013

Lonely People


Questo titolo nasce in un momento in cui stavo ascoltando Eleanor Rigby e, mentre Father McKenzie stava scrivendo parole per un sermone che nessuno avrebbe mai ascoltato, ho pensato alla solitudine. Lonely People.
Un luogo comune dice che siamo sempre più soli, che anni fa c’era più solidarietà e si stava più tempo insieme. Oggi non si condivide molto e spesso non si conosce il vicino di casa, nonostante i 620 contatti su Facebook e i 1921 su LinkedIn.
L’esperienza della grande città mi dice che gli anziani, quando possono, si incontrano per giocare a carte e per parlare. I giovani parlano poco, molto di meno. È chiaro che la società si è evoluta in una direzione che ha teso ad isolare le persone e la tecnologia, in alcuni casi, ha eliminato il necessario contatto diretto. Ovviamente non è lo strumento sbagliato, è l’uso che se ne fa.
Fatto sta che ci sono molte persone che non hanno un vero gruppo di appartenenza con cui condividere giornalmente quello che vivono. Qualcuno a cui raccontare come va, qualcuno con cui sfogarsi, prendere una birra ghiacciata o vedere un tramonto sul mare. Spesso per fare queste cose non basta una moglie o un marito, serve altro. Un amico, un conoscente, un gruppo, qualcuno che non ti faccia sentire solo.
Nel dopoguerra, tanto era forte il desiderio di ripartire che c’era un energico sentimento di comunione di intenti e di obiettivi. Forse un lungo periodo di benessere ha portato le persone a guardare solo il proprio orto, a voler incrementare il proprio patrimonio perdendo il gusto della condivisione e della felicità dello stare insieme a guardare il tempo che passa.
Poi le varie crisi (finanziarie, morali, etiche e religiose) hanno aumentato le difficoltà di coloro che probabilmente non hanno molto tempo per porsi altre questioni che potrebbero impedire di rimanere attaccati al sogno del benessere perpetuo.
Oggi è disgraziatamente così. Lo vedo con le persone che incontro tutti i giorni e che, anche se non so come si chiamano, saluto puntualmente. Una percentuale prossima a cento o non mi risponde o mi risponde a mezza bocca. E se non c’è nemmeno il saluto figuriamoci il resto.
È un peccato perché la condivisione dà un senso a molte cose e i contatti umani ci rendono persone migliori anche per il solo fatto di farci svagare, sognare e divertire.
Ogni essere umano ha bisogno di dare e ricevere amore (ok, l’ha già detto qualcun altro!), intendendo amore in un senso esteso, anche come attenzione, cura e condivisione.
Affrontare questi temi sembra spesso sinonimo di retorica di basso spessore alla “vogliamoci bene tutti” o “la guerra è brutta e viva la pace”. Il pericolo c’è. Ma non voglio dire che dobbiamo creare una società diversa basata sull’altruismo e sull’amore.
Nessuna utopia del genere. Più semplicemente siamo una civiltà di persone sole, più sole di quanto non fossimo in altre epoche e forse la vera crisi di valori che vediamo nel mondo ogni giorno è causa e conseguenza di questa solitudine.

Vista l’apertura di questo post, non posso che chiudere con All you need is love e Life is very short, and there's no time for fussing and fighting, my friend.

domenica 20 ottobre 2013

Lei non sa chi sono Io!


Forse non mi ha riconosciuto, ma io sono…
Quindi, in qualche modo, da qualche parte, in qualche senso, esco dalle regole.
Sono l’attore che ha recitato nella fiction andata in onda il 15 agosto scorso alle 16:15! Sono la figlia del Direttore, io. Sono stato eletto Mister università. 
Ho fatto il grande fratello, mio zio è Sottosegretario, ho ballato alla festa del paese con uno del Bagaglino.
Ma quanti sono quelli che pronunciano la fatidica frase? Di fronte all'Autorità, ad un ingresso riservato, in fila chissà dove. Come se essere qualcuno esuli dal rispetto dalle regole.
Quante volte abbiamo sentito che cantanti, politici, uomini dello spettacolo, parenti e affini hanno prevaricato alcune regole solo in nome del loro stesso Nome. Non pagare il conto al ristorante, approfittarsi della propria posizione, ricevere agevolazioni non dovute. Tutto non dovuto.
E questo assume ancor più (se possibile) le fattezze del grottesco quando a parlare è qualcuno che non ha alcun merito.
Detengo il titolo di campione della corsa dei sacchi da dieci anni, ho fatto un provino per un reality. Poi quando c’è di mezzo la televisione, l’esaltato di turno diventa all'improvviso super partes, senza regole, al di sopra del bene e del male.
Le Iene hanno mostrato alcune volte questi soggetti prigionieri del loro personaggio fino a credersi veramente persone importanti per l’evoluzione umana.
È lì, quando trovi il vigile che sta facendo le multe, che ti ha lasciato un fogliettino con scritto 250 euro perché hai parcheggiato con le ruote fuori dalla striscia, quando lo stesso vigile di fronte alla macchina parcheggiata in doppia fila, che occupa la carreggiata, con la musica a cannone e che ostruisce l’accesso al posto dei disabili, vede il calciatore di turno e dice dai, se mi fai l’autografo non fa niente, è lì, che ti accorgi che il "lei non sa chi sono Io!" è veramente pazzesco.
Non so se sia più pazzesco nella sua essenza o nel fatto che qualcuno lo pronunci davvero.

E per forza, tu che leggi, non puoi che essere d’accordo con me. Come? Non sai chi sono io?

Emiliano Sclame, ricorda, Emiliano Sclame.