Questa non è la mia bella casa e questa non è la mia bella moglie.
Ho aperto gli occhi nel buio di
una mattina di cui non mi importa nulla. Ho il respiro affannato e sono sudato.
Le coperte sono spostate sul lato e vedo il mio petto salire e scendere
vistosamente dietro il riflesso di una flebile luce che entra dalle persiane.
Ombre che si fondono con i miei
pensieri. Volto il capo e vedo una donna dormire rannicchiata. Il suo respiro è
regolare.
Ho ancora in testa sfumature degli
incubi inquietanti che mi hanno perseguitato nella notte. Non saprei dire cosa
ho sognato, ma la sensazione di ansia è ancora dentro di me. Provo a respirare con calma, ma ci metto un
istante a ricordare che i miei deliri notturni sono niente in confronto alla
dura realtà.
Come sono arrivato a tutto questo?
I miei occhi si abituano alla
penombra e comincio a mettere a fuoco i dettagli di una stanza che mi urla
contro. Vivo qui da un anno circa, da quando mi sono separato da mia moglie.
Una piccola casa che detesto, che non sento mia, che odio con tutto me stesso.
Tradimento, licenziamento,
separazione, affidamento. Una tetralogia che mi ha cambiato in modo drastico,
senza che me ne rendessi conto davvero. Il mio respiro si fa regolare,
solo perché l’inquietudine ha lasciato il posto alla rassegnazione che mi
accompagna di giorno.
Di nuovo triste, dopo che i soldi sono finiti.
Continuo a punzecchiare i miei
sensi di colpa, schiavo delle scelte irragionevoli che ho fatto. Sono triste,
forse depresso, forse senza speranza. Chi può dirlo? Eppure ho avuto il mio
eden per un po’. Perché ho lasciato che le cose mi scivolassero di mano?
Non ho risposte ovvio, e continuo
a ripetermi che è inutile piangere sul latte versato. È inutile, davvero.
Eppure il mio cervello non riesce a fuggire, prigioniero della mia debolezza,
come è sempre stato.
Stordito, sopraffatto, disarmato,
riprendo sonno.
Il suono della sveglia mi desta.
Percepisco subito qualcosa di diverso. Vedo la donna accanto a me balzare in
piedi. Spegne il suo cellulare. La sveglia sul mio comodino mi dice che è
presto, che la mia sveglia suonerà tra quaranta minuti. Confuso cerco di capire
cosa stia succedendo mentre sparisce fuori dalla camera. Pochi minuti dopo
torna.
- Devo andare, grazie per la serata
di ieri, ma è meglio se non ci vediamo più
- Sì, va bene
Fatico a mettere a fuoco la
situazione. Ricordo appena il suo nome.
- Davvero, mi dispiace, ma è
meglio così per tutti e due.
Riesco appena a formulare un
pensiero di senso compiuto che sento la porta di casa chiudersi per lasciare di
nuovo posto al silenzio.
Come sono arrivato a tutto questo?
Non ho nemmeno la capacità di
reagire. So già che non riprenderò sonno e ogni tentativo sarebbe inutile.
Penso alla mia vita, a come era anni fa. È cambiata, tanto, e mi chiedo se
anche io sia cambiato. Il domino di eventi che mi ha travolto poteva scatenarsi
anche anni prima. Rifletto e, forse per la prima volta in vita mia, capisco che
non è stata sfortuna, che la quaterna maledetta tradimento, licenziamento,
separazione, affidamento sarebbe potuta accadere anche uno, due o chissà quanti
anni prima.
È tutto uguale a come è sempre stato
Se questa è la conclusione,
allora è inutile che mi sforzi di cambiare le cose, penso. È inutile che mi
illuda di poter essere un uomo migliore. Ero, sono e sarò sempre un uomo…
Mi rifiuto di pensare realmente
le parole che hanno sfiorato la mia mente.
E allora perché soffro? Perché mi
sento come un dannato? Perché vorrei reagire e sovvertire gli ordini?
Domande interrotte dalla sveglia
che finalmente suona. Rimando tutti i miei dubbi filosofici alla notte
successiva, come al solito.
David Byrne rimane lì con tutte
le sue domande, mentre mi convinco che tutti hanno diritto a credere che esiste
una seconda possibilità.