Miyajima

Miyajima

mercoledì 18 giugno 2014

Definizione di Avvocato


Un personaggio è quello che ci vuole, quello che viene chiesto in questo momento dalla società in cui vivo. 
Da bravo attore studio il mio ruolo con dedizione quotidiana.

Un impiegato, un disoccupato, un artigiano, un libero professionista, un medico, un meccanico. 

Un marito, un padre,  un amante. Sono soddisfatto, sono afflitto, sono fiero e quanto altro ancora posso essere.  

Mi definiscono Avvocato ma non sono sicuro di esserlo. 
Non almeno nel profondo della mia coscienza.

Ogni attività del mio quotidiano cerca disperatamente di allontanarmi dalla mia essenza, da quello che sono realmente: un uomo.
Vesto ogni mattina la stessa maschera che inizia a pesare troppo sul volto.  

E pensare che ho iniziato così, quasi per gioco, senza accorgermi di quanto stava succedendo. 
Ho proseguito trovandomi da solo davanti alla mia Persona. 
Quella reale, che conosco bene.  

Ho smesso di essere me stesso. Questo è quanto.



- Ascensore fermo all’ ottavo piano del condominio in via Pisacane -

“Che Diavolo! E’ mai possibile, in due settimane rimanere tre volte bloccati?”

La voce di una persona accanto che non credevo nemmeno fosse presente si impossessa della mia attenzione. Quasi non mi ero accorto di essere fermo. Prendo tempo e cerco di non rispondere. Scruto le possibili soluzioni e non vedo altra uscita che fingere di essere gentile. Cordiale.

Vero, non è assolutamente accettabile

Risposta di ghiaccio la mia. Non aggiungo ne tolgo nulla, provo ad immaginare di essere altro. Penso ad una puntata della mia serie televisiva preferita.

“E adesso? Il campanello dell’allarme sembra non funzionare. Proviamo a bussare sulla porta!”

Non ho mai pensato qualcosa di più banale e allo stesso tempo inutile. 
Mi libero di ogni remore e provo a telefonare. C’è la linea.

“Pronto buongiorno sono Giorgi del condominio in via Pisacane. Vorrei avvisarvi che al momento siamo qui bloccati io e la signorina…”

“Russo!” Tuona la voce astante.

“Signorina Russo si… Mandate un tecnico appena potete!”

“Grazie avvocato!” Riprende la voce della giovane ragazza.

Da questa affermazione comprendo che le persone, anche in queste difficolta, non conoscono che il mio appellativo socialmente riconosciuto. Non conoscono nemmeno il mio nome. Non serve.

Improvvisamente inizia la mia esistenza a vacillare, ogni mia certezza a cadere. Incomincio a pensare a tutto quello che quotidianamente vivo.  
Prendo a riflettere su cose che riescono a farmi sentire vero, lontano da qualsiasi appellativo. 
Lontano dall'essere chiamato, da tutti, Avvocato.



Koan esistenziale I

  • Odio i gruppi Rock commerciali che suonano in playback senza preoccuparsi di fingere dei cavi
  • Penso spesso che sarebbe molto meglio se le cose andassero davvero come vorrei
  • Adoro gli sguardi profondi delle signore over 50 sudamericane mentre scrutano le loro  coetanee europee
  • Penso che il vuoto assoluto sia la Domenica mattina mentre provo a capire il senso della Vita
  • Odio l’estate, non è democratica
  • Dovrei vivere come fosse l’ultima possibilità mentre mi ostino a ripetere ogni giorno lo stesso supplizio
  • Non so dove sia Samarcanda o più in generale l’Uzbekistan. Detesto chi ne parla
  • Vorrei avere una persona accanto  che mi ami profondamente senza pensare troppo alle inconvenienze che l’amore porta
  • Ho sempre amato le finestre
  • Odio la povertà così come la ricchezza
  • Vorrei avere tempo, tempo infinito così da capire cosa si intende con termini come: spazio, vuoto o miscellanea
  • Invidio  tutte quelle persone che sostengono discorsi sul “potercela” e “dovercela” fare.  Vorrei credergli
  • Non sopporto chi assegna valore in base al successo ottenuto nella vita
Penso di dover iniziare a vivere senza pensare a quello che gli altri si attendono da me.

Penso di essere un uomo e non un avvocato.

Finisco di pensare ed avverto l’ascensore riprendere vita. 

Torno a salire.


martedì 3 giugno 2014

Assassino!


Ero incredulo.
In un attimo la mia calma apparente si era trasformata in qualcosa di assolutamente nuovo e che non credevo potesse esistere dentro di me.
Mi guardavo le mani dipinte di sangue rappreso. Piccoli e sottili rivoli che si erano formati dopo che avevo colpito quell'uomo con un bastone.
Avevo usato tutta la mia forza, tutta la mia rabbia. Quello era caduto al suolo ed in un attimo il suo viso era divenuto inespressivo. Da persona era divenuto corpo.
L'avevo colpito anche a terra, quando forse già aveva smesso di vivere.
Avevo ucciso un uomo.
Non avrei mai creduto fosse possibile. 
 
Ero lì, ad ascoltare il ritmo forsennato del mio respiro, mentre i miei occhi non riuscivano a mettere a fuoco alcunché. Il mondo intorno a me era solo un inutile contenitore di cui non facevo più parte.
Ero passato dalla parte degli assassini.
Eppure, dopo aver compiuto quel gesto, ma sì, chiamiamolo con il suo nome, dopo aver ucciso quell'uomo, tutto era divenuto calmo di nuovo. Anzi, più calmo di quanto non fosse mai stato in vita mia.
Mi ero seduto a terra, come a voler prendere fiato dopo aver varcato la soglia. Lo spartiacque che separava la mia vita precedente da quella da omicida era alle mie spalle.
Ero ancora seduto a terra quando mi vennero in mente, non so perché, i giochi che facevo da bambino. Pensai a quando ero seduto con i miei amici a raccontare storie nelle lunghe serate estive, quando la una era alta in cielo e noi ridevamo di ogni banalità. Felici di essere piccoli, senza nessuna ansia di diventare grandi.
Avevo sempre le ginocchia sbucciate e qualche taglio qua e là. 
Ora avevo del sangue sulle mani, ma non era il mio. Come cambia prospettiva il modo di vedere le cose.
Dopo una cosa del genere, vi assicuro, cambia in modo totale. Agli antipodi, per intenderci.
Pensai proprio a questo, al fatto che da quel momento in poi sarebbe cambiato anche il mio modo di ragionare, di percepire il mondo intorno a me. Sarebbe cambiata anche l'opinione della gente sul mio conto.


 
Rimasi così, fermo per diversi minuti a terra. Sporco, sudato e con la mani macchiate di sangue. Vicino a me un uomo morto.
Un cadavere, sì, un cadavere che era tale solo per causa mia. Lì vicino giaceva a terra ancora il bastone che avevo usato.
 
Aveva un'estremità intrisa di sangue, del sangue dell'uomo che avevo ucciso.
Mi girai le mani una nell'altra, ancora seduto a terra, senza potermi perdere in pensieri di alcun tipo.
Poi, finalmente, il silenzio fu rotto dal suono delle sirene.
Sapevamo che non avrebbero tardato. 
Erano di due tonalità e tipologie. Le riconobbi all'istante, ambulanza e polizia.
Entrarono di corsa, ero ancora a terra.
Mi alzai senza dire nulla e lasciai che gli agenti mi portassero via con loro.
Misero le loro mano sotto le mie braccia, uno per parte. In un attimo fui dentro la volante.
Il personale medico dell'ambulanza correva con esperienza mentre la volante fece urlare le gomme a terra.
Chiusi gli occhi. Ero improvvisamente stanco.
Non saprei quantificare il tempo che trascorsi in quell'auto. Minuti, forse ore se non giorni interi.
E non saprei nemmeno dire dove mi portarono. Mi fecero delle domande, ma non ricordo nulla. Il mio cervello ha completamente rimosso quei momenti. Penso sia davvero strano, mi ricordo dell'omicidio, ma non di quello che accadde dopo.
Forse ero preda di un qualche delirio.
Ricordo molto bene però, ciò che mi venne detto più tardi, non so quanto.
Un agente mi disse «Sono salve».
Le due bambine che erano state aggredite da quell'uomo erano salve. Non avevano subito traumi fisici di rilievo e in breve sarebbero tornate a casa.
 
Salve, sorrisi felice.
Ero un assassino e avrei dovuto affrontare un processo.
Chiusi gli occhi e precipitai in un mondo di sollievo.