Ho imparato a vivere con le altre persone, ho imparato a
stare con gli altri condividendo quello che provo. Credo di aver imparato ad
ascoltare e comprendere.
In questo momento seguo una bandierina gialla attaccata ad
un’asta di circa un metro. Attorno al mio collo vesto un fazzoletto dello
stesso colore di altre 30 persone. Tutte marciano uniformi davanti a me, tutte
sorridenti. Un branco di “pecore” avrei
pensato anni fa eppure eccomi qua, a mio agio nel gregge.
La mia vista non è più quella di una volta e nemmeno le
persone care, le più importanti, sono più vicino a me. In questo momento ho
accanto una donna che potrei definire “Compagna” e che come me è divenuta
nel tempo “Altro”. Qualcosa che neanche lei avrebbe immaginato in passato.
"Signori ancora un
momento di attenzione vi prego. Tra un po’ potremo riposarci in qualche
ristorante o bar . Prima però di chiudere l’itinerario di questa mattina vorrei
illustrarvi un’altra statua di piazza della Signoria. Alle mie spalle potete
ammirare “Ercole e Caco” di Baccio Bandinelli del 1533, l’opera rappresenta…"
Negli occhi delle persone riesco a riconoscere ogni mio
errore, mi basta veramente poco. Sarà che ho trascorso larga parte della mia
vita ad alzarmi prima del sole, a sentirmi dire le cose da fare, a costruire strade. La mia attività
era quella di spalare il
cemento, asfaltare e poi ancora spalare. Le mie giornate si susseguivano così, una
dietro l’altra. Istante dopo istante.
"Se non sbaglio è stato
definito l’”invidioso” vero?"
"Corretto Vittorio! Baccio è stato definito dal Vasari
l’”invidioso” in quanto…"
Non riesco a partecipare fino in fondo, rimango sempre in
disparte. Vorrei essere come il mio compagno di viaggio Vittorio, intento a
sottolineare le sue reminiscenze classiche. La sua vita può definirsi
diametralmente opposta alla mia. Una vita serena, una famiglia solida, nessun
dramma emotivo. Due figli che vede al week end, nuore, nipoti e tutto il resto.
Il suo non è un volto segnato.
Al contrario su di me le rughe si sono affastellate con
sapienza, ricoprendo il mio volto. Mi permettono di tenere lontano sguardi
indiscreti, di difendermi ma al tempo stesso di rappresentarmi per quello che
sono. Un vecchio.
"Alberto ci prendiamo
un panino? Ti va?"
"Si, sediamoci però, magari al sole. Non voglio perdermi questo spettacolo."
Una breve pausa e riprendiamo a camminare io ed Anna, distaccandoci dal resto del gruppo.
Quello che lascio sotto i miei piedi è il
pensiero che la mia vita sarebbe potuta andare diversamente. La luce di questo
splendido sole riflette sulle finestre e
ogni riflesso colpisce i miei occhi. Continuamente.
In questo momento penso che
probabilmente avrei potuto stare più vicino a mio figlio. Probabilmente sarei
dovuto essere un padre. Il pensiero corre ancora una volta a lui, indietro, nel
passato.
"Lasciami stare! Mi fai
solo pena ecco cosa. Mi fai pena tu e la tua vita."
"Non azzardarti a
rivolgerti così con me hai capito. Questa è casa mia Luca e qui decido io. Se
così non ti va bene quella è la porta!"
"Mi fai schifo, tu e la
tua vita."
Queste parole, dopo anni, risuonano ancora nella mia testa.
La voce di mio figlio, la voce di chi amo.
Penso ai miei errori, quelli che ho commesso e quelli che avrei potuto risparmiarmi. Penso
che in fondo le mie mani non siano state create solamente per impugnare un
badile o aggredire qualcun altro. Penso
che la mia voce non sia stata solamente un mezzo di ordine e disciplina.
Nonostante ciò ascolto continuamente quelle mie ultime parole, rivedo
nitidamente quella porta sbattuta davanti i miei occhi.
"Signori prego,
avviciniamoci al pullman. Dobbiamo rientrare, domani riprenderemo dagli Uffizi
dopodiché…"
"Alberto tutto bene?"
"Come?"
"Alberto tutto bene?
Dobbiamo andare vieni, la guida ci ha detto che dobbiamo risalire sul pullman,
si torna alla pensione."
"Andiamo Anna.
Andiamocene"
Salgo ogni gradino di questo autobus e vivo questa mia
fatica come un giusto peso delle mie azioni. Il vigore nelle mie braccia è
ormai spento e il fiato dentro i polmoni non soffia più come prima.
Fantastico
sulla possibilità che la vita possa cambiare in qualsiasi momento, mi diverto
nell'immaginare di riabbracciare Luca.
Una lacrima mi bagna appena le pupilla, trascorre un secondo e convengo sul fatto che
sono troppo orgoglioso. Sia io che Lui. Troppo simili e troppo diversi allo
stesso tempo per potersi dire basta.
Dopo essermi sistemato con Anna sui posti assegnati
mi guardo intorno. Alla mia sinistra le
mani di una donna che insieme a me credo abbia trovato pace. Davanti una
banda festante di teste calve e bianche, gli occhiali delle signore un tempo
giovani, i volti segnati dalla fatica e dalla sofferenza. Scorro dal finestrino
di destra e in lontananza intravedo Ponte Vecchio.
Sulle mura medievali di questa
città, irradiate da un fantastico sole di Aprile, vedo asciugarsi anche
l’ultimo barlume di umidità.
Tutto, anche se in movimento sembra così immobile.
Stringo il poggiatesta davanti a me con tutte e due le mani,
rivedo i pomeriggi trascorsi al parco. Io e Luca. Sento le su mani avvinghiarsi
alle mie spalle, il rumore del suo sorriso, il calore del suo fiato sul mio
collo.
Sento tutto questo
quando intorno mi sembra che ogni cosa stia passando così, senza un motivo.
Accartoccio un opuscolo di Firenze nella mia mano destra, stringo
insistentemente fino a sgretolare il pezzo di carta.
Guardo fuori e l’Arno continua scorrere indifferente.
In questo momento seguo una bandierina gialla attaccata ad
un’asta di circa un metro. Attorno al mio collo vesto un fazzoletto dello
stesso colore di altre 30 persone. Tutte marciano uniformi davanti a me, tutte
sorridenti. Un branco di “pecore” avrei
pensato anni fa eppure eccomi qua, a mio agio nel gregge.
La mia vista non è più quella di una volta e nemmeno le
persone care, le più importanti, sono più vicino a me. In questo momento ho
accanto una donna che potrei definire “Compagna” e che come me è divenuta
nel tempo “Altro”. Qualcosa che neanche lei avrebbe immaginato in passato.
"Signori ancora un
momento di attenzione vi prego. Tra un po’ potremo riposarci in qualche
ristorante o bar . Prima però di chiudere l’itinerario di questa mattina vorrei
illustrarvi un’altra statua di piazza della Signoria. Alle mie spalle potete
ammirare “Ercole e Caco” di Baccio Bandinelli del 1533, l’opera rappresenta…"
Negli occhi delle persone riesco a riconoscere ogni mio
errore, mi basta veramente poco. Sarà che ho trascorso larga parte della mia
vita ad alzarmi prima del sole, a sentirmi dire le cose da fare, a costruire strade. La mia attività
era quella di spalare il
cemento, asfaltare e poi ancora spalare. Le mie giornate si susseguivano così, una
dietro l’altra. Istante dopo istante.
"Se non sbaglio è stato
definito l’”invidioso” vero?"
"Corretto Vittorio! Baccio è stato definito dal Vasari
l’”invidioso” in quanto…"
Non riesco a partecipare fino in fondo, rimango sempre in
disparte. Vorrei essere come il mio compagno di viaggio Vittorio, intento a
sottolineare le sue reminiscenze classiche. La sua vita può definirsi
diametralmente opposta alla mia. Una vita serena, una famiglia solida, nessun
dramma emotivo. Due figli che vede al week end, nuore, nipoti e tutto il resto.
Il suo non è un volto segnato.
Al contrario su di me le rughe si sono affastellate con
sapienza, ricoprendo il mio volto. Mi permettono di tenere lontano sguardi
indiscreti, di difendermi ma al tempo stesso di rappresentarmi per quello che
sono. Un vecchio.
"Alberto ci prendiamo
un panino? Ti va?"
"Si, sediamoci però, magari al sole. Non voglio perdermi questo spettacolo."
Una breve pausa e riprendiamo a camminare io ed Anna, distaccandoci dal resto del gruppo.
Quello che lascio sotto i miei piedi è il
pensiero che la mia vita sarebbe potuta andare diversamente. La luce di questo
splendido sole riflette sulle finestre e
ogni riflesso colpisce i miei occhi. Continuamente.
In questo momento penso che
probabilmente avrei potuto stare più vicino a mio figlio. Probabilmente sarei
dovuto essere un padre. Il pensiero corre ancora una volta a lui, indietro, nel
passato.
"Lasciami stare! Mi fai
solo pena ecco cosa. Mi fai pena tu e la tua vita."
"Non azzardarti a
rivolgerti così con me hai capito. Questa è casa mia Luca e qui decido io. Se
così non ti va bene quella è la porta!"
"Mi fai schifo, tu e la
tua vita."
Queste parole, dopo anni, risuonano ancora nella mia testa.
La voce di mio figlio, la voce di chi amo.
Penso ai miei errori, quelli che ho commesso e quelli che avrei potuto risparmiarmi. Penso
che in fondo le mie mani non siano state create solamente per impugnare un
badile o aggredire qualcun altro. Penso
che la mia voce non sia stata solamente un mezzo di ordine e disciplina.
Nonostante ciò ascolto continuamente quelle mie ultime parole, rivedo
nitidamente quella porta sbattuta davanti i miei occhi.
"Signori prego,
avviciniamoci al pullman. Dobbiamo rientrare, domani riprenderemo dagli Uffizi
dopodiché…"
"Alberto tutto bene?"
"Come?"
"Alberto tutto bene?
Dobbiamo andare vieni, la guida ci ha detto che dobbiamo risalire sul pullman,
si torna alla pensione."
"Andiamo Anna.
Andiamocene"
Salgo ogni gradino di questo autobus e vivo questa mia
fatica come un giusto peso delle mie azioni. Il vigore nelle mie braccia è
ormai spento e il fiato dentro i polmoni non soffia più come prima.
Fantastico
sulla possibilità che la vita possa cambiare in qualsiasi momento, mi diverto
nell'immaginare di riabbracciare Luca.
Una lacrima mi bagna appena le pupilla, trascorre un secondo e convengo sul fatto che
sono troppo orgoglioso. Sia io che Lui. Troppo simili e troppo diversi allo
stesso tempo per potersi dire basta.
Dopo essermi sistemato con Anna sui posti assegnati
mi guardo intorno. Alla mia sinistra le
mani di una donna che insieme a me credo abbia trovato pace. Davanti una
banda festante di teste calve e bianche, gli occhiali delle signore un tempo
giovani, i volti segnati dalla fatica e dalla sofferenza. Scorro dal finestrino
di destra e in lontananza intravedo Ponte Vecchio.
Sulle mura medievali di questa
città, irradiate da un fantastico sole di Aprile, vedo asciugarsi anche
l’ultimo barlume di umidità.
Tutto, anche se in movimento sembra così immobile.
Stringo il poggiatesta davanti a me con tutte e due le mani,
rivedo i pomeriggi trascorsi al parco. Io e Luca. Sento le su mani avvinghiarsi
alle mie spalle, il rumore del suo sorriso, il calore del suo fiato sul mio
collo.
Sento tutto questo
quando intorno mi sembra che ogni cosa stia passando così, senza un motivo.
Accartoccio un opuscolo di Firenze nella mia mano destra, stringo
insistentemente fino a sgretolare il pezzo di carta.
Guardo fuori e l’Arno continua scorrere indifferente.