Miyajima

Miyajima

lunedì 20 gennaio 2014

Credere di essere "speciale"


La cosa più difficile da comprendere, in questo momento della mia vita, è l’idea di poter non essere speciale. Sembrerà strano, ma vi assicuro che per un uomo di mezza età inizia ad essere dura. Ci penso su da un po’ di tempo, provo ad immaginare che non sia così, ma più i giorni passano e più me ne convinco. Sembrerà strano ma speciali, la maggior parte delle volte, non lo siamo.
La mia vita inizia al mattino presto, praticamente con il salire del sole. La prima sensazione non è delle più piacevoli. Le ossa non sono più quelle di una volta e con sempre maggiore difficoltà mi libero della pressione che il sonno interrotto ha sulle mie palpebre. Mi sbrigo nel raccapezzarmi tra le azioni, scomposte il più delle volte, da compiere. Il bagno, certo, la pulizia, vestirsi e così via. Né più né meno che guardare la lista della spesa.
Accendi la luce – Fatto
Rintraccia le tue pantofole – Prese
Sollevati e, se ce la fai, prendi coscienza – Ci provo, non mi arrendo
Ora che ci penso, non ho mai provato particolare gioia nel sollevarmi dal mio giaciglio in orari impossibili. Probabilmente mi sono sempre motivato pensando che la cosa funziona in questo modo. Almeno così, credo, me l’hanno venduta per molto tempo. E pensare che non più di qualche anno fa pensavo che alzarmi presto volesse intendere successo, voglia di fare, “valore” in assoluto.
Non sempre è così. In questo momento, ad esempio, la mia alzataccia si tramuta in una piena sconfitta. Sono passati gli anni in cui nel mio cantiere parlavo al megafono ai miei collaboratori. Sono passati gli anni in cui riuscivo ad essere qualcuno.

Pagare le bollette di questo mese – Non ancora, ho fiducia
Fare la spesa al discount – Se riesco
Immaginare i mobili da traslocare – Non ce la faccio, questa volta mollo

Scendo in strada e, in lontananza, lungo la tangenziale, vedo le luci del mio autobus. Non fa poi tanto freddo e il mio naso, pur essendo inverno pieno, non ha ancora perso la sensibilità. Alla fermata, insieme a me, disperati carichi di voglia di sopravvivere. Persone delle più svariate etnie mi portano a pensare a quelle mattine trascorse a casa, da ragazzo, a guardare i video della NASA sulle sonde Viking lanciate in orbita. Nulla di più difficile che fermarsi su questa banchina.

Paga i tuoi debiti – Ci provo
Riprendi te stesso – Quale me stesso?
Non disperare – Non dispero

Arriva nel frattempo un pullman dei primi anni 90 di colore blu, sul tetto riporta un sottile manto di neve. Mi avvicino alle porte e il mio viaggio lungo le vie della mia città inizia. Per fortuna riesco a sedermi vicino al finestrino. Questa mattina evidentemente qualcuno dei consueti “colleghi” di viaggio deve aver vomitato se stesso, la vodka non sempre te la fa passare liscia.

Smettere di bere alcool – Ho smesso
Non mentire – Ho smesso anche quello
Radersi la barba – Devo comprare le lamette

Il sedile del pullman è completamente rovinato e sulla parte dove poggio il mio sedere una gigantesca scritta in pennarello solleva le doti orali di una certa Valeria.  Riprendo a guardare fuori, il rumore del motore da 280 cavalli è tutto ciò che riesco a percepire. Si chiudono le porte ed inizia il mio viaggio, unico.
Ricordarsi di essere speciale – Davvero? Da questo sedile non sembra

venerdì 10 gennaio 2014

Una notte di primavera


Esistono luoghi che non ci permettono di essere diversi, di divenire altro.
In quei luoghi è come se, dopo aver solcato i mari di mezzo mondo, divenissimo navi in bottiglia. Questi luoghi, soffocanti per certi versi, mantengono sfacciatamente una viscerale attrazione. Sono lì, a guardarti dalle loro mura, dai loro lampioni, dalle loro strade con lo stesso sguardo di chi hai tradito. Ho lasciato da non molto quello che mi apparteneva così come da non molto parlo una lingua che non mi appartiene. Adesso, quasi per caso, mi ritrovo a camminare lungo la strada di quella che una volta chiamavo “Casa”, lungo la strada che per me vedeva il sole salire, crescere... scomparire. Intorno qualche maceria, per lo più case ferme e vuote come i tronchi degli alberi mangiati dai tarli.
-          Sei sveglio? –
-          Sì. E tu? –
-          Anch’io. Non riesco a prendere sonno… E’ tardi vero? –
-          Quasi le tre –
-          ………………. -
-         Stavi battendo i denti poco fa, forse stavi sognando qualcosa di brutto –
-        Non lo ricordo. Non lo riesco più a ricordare -
Dalle finestre, dove la Domenica si espandevano odori di carne al forno e le trecce di aglio venivano prudentemente nascoste alla vista, oggi non vedo che il buio di stanze abbandonate. Per la strada poca gente in giro, sparuti temerari che cercano di portare la vita là dove la vita non ha potuto che andarsene.
Mi fermo davanti al ciglio di una porta, guardo attentamente una malandata cassetta delle lettere piena fino al colmo di carta. Sulla strada ancora un tappeto, lacero ormai, con la scritta Benvenuto.
In quell’istante ricordo il mio primo arrivo nella città che mi ospita, dove sono fuggito per provare a dimenticare. In un istante le immagini ritornano alla memoria, volti diversi dal mio, odori lontani che prendono alla gola, lingue in cui non riesco a riconoscere alcuna musicalità. In poco tempo, senza neanche sorprendermene, ho creduto di divenire altro. Lontano da quello che ero, più vicino a quelle condizioni necessarie per definirsi salvo. Da queste parti il giorno è grigio così come la notte luce. Da queste parti le persone non hanno paura di uscire, di vivere le loro vite. Da queste parti probabilmente non hanno mai visto i bagliori della notte, le grida di chi ami, l’affondare delle mura che ti circondano.
 
-          Questa sera è freddo, molto freddo –
-          Siamo ormai ad Aprile –
-          Non ho voglia di dormire, abbracciami –
-          Di cosa hai paura? –
-          Di nulla, ho solo freddo. Stammi vicino -
Distacco la vista dalle carte a terra, pubblicità di almeno qualche anno fa, e riprendo a muovermi in un posto che dall’abbandono sembra divenire quasi incantato.
Da qualche parte ho letto che contro i terremoti non vale la fuga, non giovano nascondigli.
Mentre rifletto su queste parole lungo il mio corso, da lontano, sento una serranda aprirsi e vedo l’ombra di un uomo entrare nel proprio negozio. Intorno tutto rimane fermo, come se il fragore del metallo che si infrange lungo le guide di scorrimento non importi a nessuno. Solo qualche uccello, in lontananza, accenna una tiepida fuga. Rimango immobilizzato, quasi impaurito dal fare qualsiasi tipo di rumore. Siamo in pieno giorno eppure non credo di riconoscere differenze dalla più profonda notte.
D’improvviso l’uomo, scomparso dalla vista poco prima, riappare. Questa volta ha con se una scopa e con la stessa inizia a pulire davanti l’uscio del suo negozio.
Forse la speranza l’ho di nuovo incontrata.
-          Perché è successo? –
-          Non lo so, ma non ho più sonno -