Miyajima

Miyajima

venerdì 22 novembre 2013

Lonely People (Part II)


Poche cose ho capito fino ad ora, poche davvero. Una però mi è chiara, stampata bene in mente: viviamo in un mondo di persone sole. Ciò che più stupisce è quanto per ognuno di noi le soluzioni per stare insieme si moltiplichino per poi svanire improvvisamente.
Il tono con cui sto scrivendo non è assolutamente pessimistico, le mie sono semplici considerazioni su quanto intorno accade. La cosa divertente è che anche le persone più attente, quelle che credono di non essere sole in verità si perdono, alla fine, nella stessa direzione.
Gli applausi dagli spalti, immaginari, dopo un po’ non danno più soddisfazione. Non potrebbe essere altrimenti.
Proprio in quel momento coloro che conosciamo o crediamo di amare, beh, si allontanano. Capita. Più di una persona si riempie la bocca parlando di una società “Liquida” in cui parole come “Valori” e “Comunità” non hanno più senso di esistere. Almeno non con l’accezione che abbiamo inteso fino ad oggi. Forse.
Col tempo prendiamo consapevolezza che le idee che abbiamo in testa, in fondo, non sono poi tanto geniali. Eppure le stesse, per lungo tempo, sono servite ad accrescere il pensiero che tutto (prima o poi) sarebbe stato condiviso, vero, mitico. Per tutti.
Cammino per la strada e vedo tante persone, oggi come ieri, sorridere. Non dietro però la maschera che vestono ogni mattina. Di questo stiamo parlando.
Perché ad esempio rincorrere il successo pur perdendo quello che più conta?
Perché cercare di sembrare sempre ironici, divertenti, spigliati?
Perché non ascoltare chi si ha vicino?
Perché non credere più nelle persone?
L’immagine che ho davanti a me, quando penso a tutto questo, è quella di tanti cristalli nell’aria pronti a riflettere ognuno una moltitudine di luce. Riflessi, senza un obiettivo reale.
Siamo belli, siamo vincenti, siamo forti, fintanto che di benzina ne rimane nel serbatoio.
Viviamo e brilliamo di luce, anche solo per un istante, magari per il nostro video caricato su Facebook oppure per il nostro pensiero con un numero imprecisato di retweet. Di questo ormai ci nutriamo ed è questo che andiamo cercando.
E pensare che non più di qualche anno fa l’importante era mettere la faccia, giù in Piazza.
Bastava un mazzo di carte ed anche la fatica accumulata nell’arare i campi, nell’uso dell’erpice, della vanga… beh, tanto bastava per far svanire ogni stanchezza.
Si camminava fino ad arrivare alla propria casa e tutto il resto poco importava. Non ho mai visto mio nonno sentirsi abbandonato pur essendo “solo” davanti ai problemi della famiglia. Eppure quello che contava evidentemente era altro: la stanchezza delle braccia, l’odore dell’oliva appena raccolta, dell’erba tagliata, del grappo d’uva al sole. Tutto ciò aveva effetti diversi dall’odore di plastica che i nostri ipad emanano. Quello che rimaneva però era moltissimo pur non essendoci le luci di Londra o New York. Quello che rimaneva era l’idea dell’ultimo raggio di sole sul proprio terreno lavorato. Sulla propria fatica.
Oggi, persi dietro le nostre iniziative, non abbiamo più un luogo in cui incontrarci veramente. Dove poter guardare negli occhi il proprio interlocutore o ascoltare la sua voce.
Ci perdiamo dietro noi stessi, dietro le nostre cazzate, pieni di cose che non ci appartengono. Ci ritroviamo soli, nel mezzo od alla fine della nostra vita, senza nemmeno avere un Uomo o una Donna da amare veramente.
In fondo amare non è quanto la solitudine dovrebbe insegnarci a fare?
Continuiamo a cercare la Persona della vita correndo dietro aquiloni sempre più alti in cielo. Quello che conta però siamo sempre “Noi stessi”. Non è così?
Il problema è che poi, una volta afferrato il più alto degli aquiloni, dopo avere detto a se stessi “ce l’ho fatta”, non rimane che guardarsi indietro e accorgersi che siamo soli, con lo spago in mano e l’aria del vento che non soffia più.
In quel momento, davanti al risultato dei nostri impegni, capiamo che in fondo al tavolo siamo rimasti soli. Con il mazzo di carte in mano.

martedì 19 novembre 2013

Post-it



Un breve racconto emozionale, che coinvolge la mente e diversi sensi.

Istruzioni per la lettura:


1.       Ascoltare in sottofondo la Canzone: First Fire, Bonobo. http://www.youtube.com/watch?v=1E2OZTRmNxk&list=PLK6CFF5XENOmeKZ4LtrU9CuUyHqsMc9Dl


2.       Dare uno sguardo al Graffito: Leviathan, Blu. Kreuzberg.

https://www.google.it/search?hl=it&site=imghp&tbm=isch&source=hp&biw=1280&bih=907&q=Leviathan%2C+Blu.+Kreuzberg&oq=Leviathan%2C+Blu.+Kreuzberg&gs_l=img.3...529.529.0.1312.1.1.0.0.0.0.146.146.0j1.1.0....0...1ac.1.31.img..1.0.0.FIrm1Nn24qs


3.       Pensare al Colore: bianco.


4.       Leggere quanto segue:



Ho iniziato a scrivere biglietti sulla mia vita. Credo sia il formato più giusto, più vicino a quanto mi è accaduto. Nessuna pagina impegnativa o diario personale. Solo Post-it, nient’altro.

Post-it numero uno della giornata: Quanto tempo dovrà passare?

Trascorro le mie giornate tra i ricordi di quello che per lungo tempo sono stato. Un uomo affermato, convinto dei propri mezzi e delle proprie azioni. Non ho mai fatto il passo più lungo della gamba. Non ho mai azzardato e non sono mai andato più in là delle mie possibilità. Ho accettato le cose che mi sono venute, ho ringraziato per ogni dono ricevuto dall’esistenza. Un lavoro, una famiglia, una realizzazione.

Post-it numero due: Essere licenziato  - cosa diavolo può voler dire dopo 20 anni di contributi?

Laura ora è lontana, abita sempre nella nostra casa. Ho iniziato a nascondermi tra la gente prima che prendesse la metro per andare al lavoro. Lei che ancora uno ne ha. La nostra vita è cambiata da quasi due anni ma non riesco a togliermi dalla testa che le cose potevano andare diversamente. Continuo, ogni giorno, a chiedere a me stesso come sarebbero andate le cose se avessi avuto più attenzioni. Più di quelle che davo. Continuo a chiedermi quanto i miei figli possano ancora  riconoscersi nei miei occhi.

Post-it numero 3 di questa giornata di novembre: Sono un ramingo.

Continuo ad affiggere i miei pensieri su questa carta gialla, tentando di appiccicarli sui muri della stazione. Spero che Laura riconosca la mia grafia o che magari questi fogli striminziti attraggano l’attenzione di qualche passante. Sono un ingenuo, questo è il problema. Non riesco a celare, a me stesso, il mio abbandono. Mi guardo e non è tanto nella barba incolta, nei vestiti lisi comprati in un’antica età dell’oro. Il problema è prendere consapevolezza che le cose cambiano e non sempre in meglio.

Post-it numero 4: Pensa positivo

Una signora, probabilmente rumena, si avvicina nel mio angolo fregandosene del puzzo che i pavimenti emanano e mi lascia una moneta, sonante, di un euro. Non ci faccio più caso. Come per la propria verginità, accettata la prima elemosina le altre vanno giù e neanche te ne accorgi.

Post-it numero 5: Pensa positivo ma non sperarci troppo

È questo il senso delle cose? È questo quanto devo aspettarmi? In lontananza scorgo un volto e riconosco gli occhi di una ragazza uguali ai miei. La sua adolescenza ormai al termine è nascosta da una maturità acquisita sul campo.

Post-it numero 6: Pensa positivo e mantieni la calma. Non scapp….

La sua voce mi chiama. Mi prende per una braccio e mi accompagna fuori nel parco senza farmi finire di scrivere. Non proferisco parola, non servirebbe. Lascio cadere pezzi di carta a terra  mentre ci guardiamo, riconoscendoci l’uno nell’altra. Il suo nome è Chiara e probabilmente mi vuole bene. Questo importa.

Mentre sento chiamarmi, ancora una volta, con il mio nome mi guardo attorno e vedo che tutti i miei biglietti non sono altro ormai che carta calpestata a terra. Quasi non si riconosce più nemmeno una parola.

Esco alla luce e la sua voce mi grida, sottovoce: Forza Papà.

Le macchine continuano intanto a correre.

Post-it numero 7:

venerdì 15 novembre 2013

Sola


Un breve racconto emozionale, che coinvolge la mente e diversi sensi.

Istruzioni per la lettura:


1.  Ascoltare in sottofondo la Canzone: Shine on you crazy diamond, Pink Floyd. https://www.youtube.com/watch?v=R0sw2CgysWY

2.  Dare uno sguardo al Quadro: Sole del mattino, Edward Hopper.



3.  Pensare al Colore: grigio scuro.


4.  Leggere quanto segue:


«Vattene, sei solo un povero idiota! Bastardo!» Gli avevo urlato contro. Era solo l’ennesima volta che accadeva una scena del genere. Non ci eravamo resi conto che ricoprirci di insulti l’un l’altra era diventata quasi un’abitudine, un gesto svuotato dei suoi significati, tante volte l’avevamo vissuto. Eppure mi lacerava l’animo procurandomi ferite che avrebbero lasciato piccole cicatrici per sempre.
Trascinavamo il nostro rapporto in modo patetico. Se c’era stato vero amore, in quel momento era ridotto ad un pallido riflesso impercettibile.
Eravamo usciti quella sera per stare insieme, per ritrovarci, per dirci quanto ci amavamo, per sorridere sotto la luna.
«Ti amo.» Lo avevamo detto entrambi. Forse senza consapevolezza della menzogna. Ma tutto era come al solito. Il rancore permeava ogni nostra interazione. Ci davamo colpe su colpe, rispondendo con scuse ad accuse, con offese a provocazioni. Fu sufficiente una banalità, una scintilla in un enorme mucchio di sterpaglia secca sotto vento.
Il cambiamento fu repentino nella nostra conversazione. Non ci interessò di essere in mezzo alla strada, con altre persone che ci camminavano intorno.
Era chiaro che il nostro rapporto era concluso, eppure non eravamo disposti ad accettarlo, non so perché. Ci prendemmo a male parole. Rimproveri e critiche sputate ad alta voce.
«Vattene, sei solo un povero idiota! Bastardo!» Dissi ad un certo punto. Giocavamo sullo stesso piano. Rispose annuendo. Si voltò e se ne andò.
Non lo avrei più rivisto in vita mia.
Rimasi immobile senza punti di riferimento. Scoppiai in lacrime lasciando libere le emozioni che avevo trattenuto fino a quel momento per non mostrarmi debole. Eppure quelle parole erano uscite con convinzione dalla mia bocca. Ripensai alle serate passate insieme, alle domeniche al mare, al suo sorriso, al suo odore. Era finita.
Ero ancora ferma con il volto rigato di piccole scie umide di pianto.
La mia testa si perse in un vortice di pensieri confusi mentre mi incamminai verso casa. Dentro vi trovai foto, lettere, regali e mille altri riferimenti a quella persona che non avrei mai più rivisto. Piansi di nuovo con l’intenzione di abbandonarmi all’ineluttabile fine che mi attendeva.
Mi addormentai vestita nel silenzio della solitudine della mia casa da single.

Avevamo fatto la cosa giusta.

venerdì 8 novembre 2013

Donne, uomini, rispetto e parità


Io, lo chiarisco sin da subito, sono un uomo che non ha vissuto l’epoca del femminismo, quella delle lotte, della parità desiderata, quella del “il corpo è mio e lo gestisco io”.
Però vedo quello che succede adesso.
La prima cosa che mi viene da pensare sul tema è che ci sono contraddizioni. Sì, contraddizioni. Da un lato so che ci devono essere la parità e le pari opportunità tra uomini e donne. Sulle offerte di lavoro c’è scritto infatti ricerca aperta ambo i sessi come da decreto bla bla bla…
Una donna capo del governo? Perché no. A capo del senato? Perché no. Donne nello sport, nella vita di tutti i giorni, negli incarichi più prestigiosi, stessi stipendi ed opportunità. Nella realtà dei fatti non è così. Ma dicono che la strada è quella giusta. Quote rosa e donne in carriera. Avanti così!
Poi però, c’è tutta una realtà sommersa che tutti conoscono, avallano, accettano e perseguono, fatta di corpi nudi, di ingiustizie, di stipendi più bassi e di banalizzazione. La cosa peggiore è che spesso le donne sono pari agli uomini (in questo caso sì!) nel considerarsi su un altro livello.
Dico subito che le diversità ci sono e devono  essere accettate. Ma non è questo il punto.
Una cosa veramente assurda è il dover sempre rapportare le donne all’estetica.
La Merkel è brutta, la Bindi altrettanto (poi sempre a mettere ‘sto “la” prima del cognome…). Hai visto la Brambilla aveva le cosce di fuori?
Mica ci importa niente se Bersani o Alfano sono belli o brutti. Non è discriminazione questa? Non è fare il solito riferimento al fatto che l’uomo è cacciatore e la donna è un corpo-preda?
Altrettanto assurdo è quello che succede quando ci sono le notizie riferite ad eventi drammatici di morti o feriti. Cinquanta morti, di cui venti tra donne  e bambini. “Donne e bambini”? Cos’è, la categoria degli indifesi? Come se le donne non fossero autosufficienti o meno capaci nella sopravvivenza. In un’epoca in cui la tecnologia fa tutto poi…
Allo stesso modo, quando si parla di malviventi: la banda era composta da dieci criminali, di cui due donne. Ma che ci importa? Se una persona (PERSONA) è brava, competente, malavitosa, eroica, infima, delinquente, omicida, disponibile, importante, banale o quello che volete, il sesso ha poca importanza.
Eppure stiamo sempre lì a sottolinearlo.
Altri stereotipi: l’uomo offre la prima cena insieme. L’uomo tiene la porta aperta alle donne che attraversano la soglia. La donna ammicca e fa vedere le forme. L’uomo è forte e la donna decide. Alcuni retaggi (per carità, nulla di grave) ma che nascondono un mondo di convinzioni.
La percezione del sesso in molte persone: è l’uomo che ha un fine, la donna è un mezzo. Le conseguenze le vediamo nelle storie di tutti i giorni, che raccontano un mondo di ragazzi disorientati sul tema uomo-donna: stupri, violenza, baby-prostituzione e sexting, l’ultima frontiera della banalizzazione e distruzione del rispetto e dell’amor proprio.
Ma veramente vogliamo che sia così?
È vero, siamo fatti in modo diverso, ma basta davvero con queste storie.

Donne, ribellatevi allo stereotipo di donna.
Uomini, ribellatevi allo stereotipo di uomo.
Persone, costruitevi davvero un futuro senza discriminazioni.