Miyajima

Miyajima

venerdì 10 gennaio 2014

Una notte di primavera


Esistono luoghi che non ci permettono di essere diversi, di divenire altro.
In quei luoghi è come se, dopo aver solcato i mari di mezzo mondo, divenissimo navi in bottiglia. Questi luoghi, soffocanti per certi versi, mantengono sfacciatamente una viscerale attrazione. Sono lì, a guardarti dalle loro mura, dai loro lampioni, dalle loro strade con lo stesso sguardo di chi hai tradito. Ho lasciato da non molto quello che mi apparteneva così come da non molto parlo una lingua che non mi appartiene. Adesso, quasi per caso, mi ritrovo a camminare lungo la strada di quella che una volta chiamavo “Casa”, lungo la strada che per me vedeva il sole salire, crescere... scomparire. Intorno qualche maceria, per lo più case ferme e vuote come i tronchi degli alberi mangiati dai tarli.
-          Sei sveglio? –
-          Sì. E tu? –
-          Anch’io. Non riesco a prendere sonno… E’ tardi vero? –
-          Quasi le tre –
-          ………………. -
-         Stavi battendo i denti poco fa, forse stavi sognando qualcosa di brutto –
-        Non lo ricordo. Non lo riesco più a ricordare -
Dalle finestre, dove la Domenica si espandevano odori di carne al forno e le trecce di aglio venivano prudentemente nascoste alla vista, oggi non vedo che il buio di stanze abbandonate. Per la strada poca gente in giro, sparuti temerari che cercano di portare la vita là dove la vita non ha potuto che andarsene.
Mi fermo davanti al ciglio di una porta, guardo attentamente una malandata cassetta delle lettere piena fino al colmo di carta. Sulla strada ancora un tappeto, lacero ormai, con la scritta Benvenuto.
In quell’istante ricordo il mio primo arrivo nella città che mi ospita, dove sono fuggito per provare a dimenticare. In un istante le immagini ritornano alla memoria, volti diversi dal mio, odori lontani che prendono alla gola, lingue in cui non riesco a riconoscere alcuna musicalità. In poco tempo, senza neanche sorprendermene, ho creduto di divenire altro. Lontano da quello che ero, più vicino a quelle condizioni necessarie per definirsi salvo. Da queste parti il giorno è grigio così come la notte luce. Da queste parti le persone non hanno paura di uscire, di vivere le loro vite. Da queste parti probabilmente non hanno mai visto i bagliori della notte, le grida di chi ami, l’affondare delle mura che ti circondano.
 
-          Questa sera è freddo, molto freddo –
-          Siamo ormai ad Aprile –
-          Non ho voglia di dormire, abbracciami –
-          Di cosa hai paura? –
-          Di nulla, ho solo freddo. Stammi vicino -
Distacco la vista dalle carte a terra, pubblicità di almeno qualche anno fa, e riprendo a muovermi in un posto che dall’abbandono sembra divenire quasi incantato.
Da qualche parte ho letto che contro i terremoti non vale la fuga, non giovano nascondigli.
Mentre rifletto su queste parole lungo il mio corso, da lontano, sento una serranda aprirsi e vedo l’ombra di un uomo entrare nel proprio negozio. Intorno tutto rimane fermo, come se il fragore del metallo che si infrange lungo le guide di scorrimento non importi a nessuno. Solo qualche uccello, in lontananza, accenna una tiepida fuga. Rimango immobilizzato, quasi impaurito dal fare qualsiasi tipo di rumore. Siamo in pieno giorno eppure non credo di riconoscere differenze dalla più profonda notte.
D’improvviso l’uomo, scomparso dalla vista poco prima, riappare. Questa volta ha con se una scopa e con la stessa inizia a pulire davanti l’uscio del suo negozio.
Forse la speranza l’ho di nuovo incontrata.
-          Perché è successo? –
-          Non lo so, ma non ho più sonno -

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