Miyajima

Miyajima

giovedì 3 aprile 2014

Primavera




Foglie, fiori e un sole che mi ricorda che la primavera è arrivata scalciando via un inverno timido che non ha mai ruggito veramente. Mi sveglio come spaesato, senza punti di riferimento. Dicono che la primavera produca effetti del genere. Non ci ho mai creduto veramente.

Decido di camminare all’aria aperta in questa domenica di sole.

Le mie gambe si muovono senza un controllo effettivo, decidendo quasi in autonomia la direzione da prendere. Raggiungo il parco vicino casa.

Margherite, foglie nuove illuminate da raggi di sole, profumi che erano rimasti sopiti per un tempo che non so quantificare.




Cammino calpestando una ghiaia sottile e fina che scricchiola appena sotto i miei piedi. Mi perdo nei pensieri, ma non riesco a mettere a fuoco nulla e mi lascio andare ad un confuso moto di ricordi disordinati.

Decido di sedermi su una panchina di legno. Un albero, non saprei dire quale, mi fa ombra a metà.

Davanti a me bambini corrono dietro ad un pallone. Sono piccoli e non devono indossare nessuna maschera per interagire tra loro. Ridono impegnandosi goffamente. Due ragazzi adolescenti si baciano con passione. Sono persi nel loro mondo a metà strada tra l’infanzia e l’età adulta, dove tutto è contraddizione. Una signora porta a spasso un cagnetto con un muso che ispira simpatia a volontà.

Guardando più in là, ragazzi vanno in bicicletta, altri bambini giocano con un frisbee, qualcuno passeggia, un signore legge un libro, due ragazzi hanno in mano un cellulare e ridono di tutto gusto. Chissà perché.

Mi chiedo cosa porterà a casa ognuno di loro al rientro dalla mattinata al parco. Spensieratezza, felicità, divertimento, gioia.

«Scusi! Può tirarci la palla?» Vedo la palla colorata proprio davanti ai miei piedi. Mi ricordo di quando ero bambino ed in un attimo sono di nuovo nel vortice delle mie elucubrazioni.

Non sono riuscito a trovare l’equilibrio che cerco dal mio risveglio questa mattina. Vorrei dare un senso a questa giornata soleggiata, ma proprio non ci riesco.

Riprendo a camminare.

Una ragazza sdraiata sul prato è concentrata su un enorme quaderno colmo di minuscoli appunti ordinati. Ognuno sembra ben inserito in questo contesto. Ognuno sa cosa fare, per quanto tempo e con quali modalità.

Dannazione, penso, vorrei riuscire anche io a trovare un punto di riferimento.

Nessuno crea un diversivo nella mia mattinata; vorrei giocare con un bambino, salvare una ragazza prima che caschi dai pattini, recuperare un cane scappato, giocare a scacchi, dire l’ora ad un passante, scambiare sorrisi, discutere del più e del meno, studiare gli appunti con la ragazza di prima. Niente, nessuno mi dà importanza o cerca in me l’interlocutore di un qualsivoglia dialogo.   

Decido di tornare verso casa. È quasi mezzogiorno e non ho concluso nulla di soddisfacente. Sono ancora confuso e soltanto mentre lascio il parco alle mie spalle mi ricordo che ieri sera, durante una festa organizzata da amici, mentre la lucidità era offuscata dall’alcool, ho dato appuntamento ad una donna per un aperitivo alle dodici in punto. Chissà dove, penso, era l’appuntamento. Non so, e comunque sono in tremendo ritardo.

Rita, Lucia. No, Flavia. Non ricordo il suo nome. Non so nemmeno se ho un suo recapito.

Mentre cerco di fare mente locale, mi accorgo di essere davanti alla porta di casa.

Nemmeno questo ricordo è servito come diversivo.

Completamente perso nel mio turbamento, nel dubbio spengo il cellulare e mi lascio andare sull’amaca che ho in giardino. Le note di una musica lontana si mischiano ad echi di parole mai dette.

Chiudo gli occhi e vedo ciò che più mi manca al mondo.

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