Miyajima

Miyajima

martedì 3 giugno 2014

Assassino!


Ero incredulo.
In un attimo la mia calma apparente si era trasformata in qualcosa di assolutamente nuovo e che non credevo potesse esistere dentro di me.
Mi guardavo le mani dipinte di sangue rappreso. Piccoli e sottili rivoli che si erano formati dopo che avevo colpito quell'uomo con un bastone.
Avevo usato tutta la mia forza, tutta la mia rabbia. Quello era caduto al suolo ed in un attimo il suo viso era divenuto inespressivo. Da persona era divenuto corpo.
L'avevo colpito anche a terra, quando forse già aveva smesso di vivere.
Avevo ucciso un uomo.
Non avrei mai creduto fosse possibile. 
 
Ero lì, ad ascoltare il ritmo forsennato del mio respiro, mentre i miei occhi non riuscivano a mettere a fuoco alcunché. Il mondo intorno a me era solo un inutile contenitore di cui non facevo più parte.
Ero passato dalla parte degli assassini.
Eppure, dopo aver compiuto quel gesto, ma sì, chiamiamolo con il suo nome, dopo aver ucciso quell'uomo, tutto era divenuto calmo di nuovo. Anzi, più calmo di quanto non fosse mai stato in vita mia.
Mi ero seduto a terra, come a voler prendere fiato dopo aver varcato la soglia. Lo spartiacque che separava la mia vita precedente da quella da omicida era alle mie spalle.
Ero ancora seduto a terra quando mi vennero in mente, non so perché, i giochi che facevo da bambino. Pensai a quando ero seduto con i miei amici a raccontare storie nelle lunghe serate estive, quando la una era alta in cielo e noi ridevamo di ogni banalità. Felici di essere piccoli, senza nessuna ansia di diventare grandi.
Avevo sempre le ginocchia sbucciate e qualche taglio qua e là. 
Ora avevo del sangue sulle mani, ma non era il mio. Come cambia prospettiva il modo di vedere le cose.
Dopo una cosa del genere, vi assicuro, cambia in modo totale. Agli antipodi, per intenderci.
Pensai proprio a questo, al fatto che da quel momento in poi sarebbe cambiato anche il mio modo di ragionare, di percepire il mondo intorno a me. Sarebbe cambiata anche l'opinione della gente sul mio conto.


 
Rimasi così, fermo per diversi minuti a terra. Sporco, sudato e con la mani macchiate di sangue. Vicino a me un uomo morto.
Un cadavere, sì, un cadavere che era tale solo per causa mia. Lì vicino giaceva a terra ancora il bastone che avevo usato.
 
Aveva un'estremità intrisa di sangue, del sangue dell'uomo che avevo ucciso.
Mi girai le mani una nell'altra, ancora seduto a terra, senza potermi perdere in pensieri di alcun tipo.
Poi, finalmente, il silenzio fu rotto dal suono delle sirene.
Sapevamo che non avrebbero tardato. 
Erano di due tonalità e tipologie. Le riconobbi all'istante, ambulanza e polizia.
Entrarono di corsa, ero ancora a terra.
Mi alzai senza dire nulla e lasciai che gli agenti mi portassero via con loro.
Misero le loro mano sotto le mie braccia, uno per parte. In un attimo fui dentro la volante.
Il personale medico dell'ambulanza correva con esperienza mentre la volante fece urlare le gomme a terra.
Chiusi gli occhi. Ero improvvisamente stanco.
Non saprei quantificare il tempo che trascorsi in quell'auto. Minuti, forse ore se non giorni interi.
E non saprei nemmeno dire dove mi portarono. Mi fecero delle domande, ma non ricordo nulla. Il mio cervello ha completamente rimosso quei momenti. Penso sia davvero strano, mi ricordo dell'omicidio, ma non di quello che accadde dopo.
Forse ero preda di un qualche delirio.
Ricordo molto bene però, ciò che mi venne detto più tardi, non so quanto.
Un agente mi disse «Sono salve».
Le due bambine che erano state aggredite da quell'uomo erano salve. Non avevano subito traumi fisici di rilievo e in breve sarebbero tornate a casa.
 
Salve, sorrisi felice.
Ero un assassino e avrei dovuto affrontare un processo.
Chiusi gli occhi e precipitai in un mondo di sollievo.

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