Sensazioni: nebbia fitta, silenzio,
umidità.
Odori: legna che arde
Rumori: tacco che cozza sulla dura
pietra
Quadro: “Viandante sul mare di nebbia”
(Der Wanderer über dem Nebelmeer), olio
su tela di Caspar David Friedrich, 1818.
Musica:
“October” - Evanescence
Sono
vecchia. La salita che da casa mia porta al piccolo orto che curo con amore da
quasi sessant’anni è sempre più lunga e faticosa. I primi freddi cominciano ad
arrivare ed il mio camino ha da pochi giorni ripreso a sbuffare fumo dal
comignolo, spargendo per la mia casa un odore fin troppo familiare che nessun
riscaldamento potrà mai sostituire.
Questa
mattina c’è un po’ di nebbia. Non ho bisogno di vedere per trovare il mio
cammino, semplice, ripetitivo, rassicurante. Senza contare che la mia vista non
è più quella di una volta.
Il
cigolio del piccolo cancello che mi separa dal fazzoletto di terra si disperde
nel silenzio.
Nessuno
ascolterà i miei passi, il rumore della mia fatica, il canto della terra che
cresce.
Ormai
vivo sola in questo borgo dimenticato da tutti, persino da Dio. L’ultimo
parroco se ne è andato dieci anni fa e non è mai stato sostituito. La chiesa in
pietra in cui pregavo da bambina è solo un soprammobile in attesa della visita
periodica di un incaricato che la pulisce.
Claretta,
l’amica di una vita, se ne è andata un paio di anni fa, lasciandomi sola a
vivere in questo borgo che assomiglia sempre più ad un presepe.
Mi
chino a raccogliere un cavolfiore, due carote. Strappo via qualche foglia, pulisco
le piantine che tra poco affronteranno l’inverno. Sono gesti che ripeto da
anni, che compio automaticamente, che coccolano la mia routine quotidiana.
Da
bambina eravamo in molti da queste parti. Una comunità che tirava avanti con
semplicità. Eppure, il nostro piccolo mondo era pieno di tutto quello che ci
serviva. Mi viene in mente la mia maestra Caterina e la bottega di Umberto.
A
poco a poco se ne sono andati tutti, compresi Luca e Francesca, i miei due
figli. Vivono in città e vorrebbero che io mi trasferissi da loro. Dicono che
qui sono sola, che fa freddo, che non c’è un medico, che, che, che. Capisco la
loro premura motivata da un enorme affetto.
Ci
riprovano di tanto in tanto, ma dentro di loro, forse, sanno che non lascerò la
mia terra, la mia casa, la mia vita. È qui che so come vivere, è qui che so
come morire.
Non
resisterei un minuto lontano dalle mie cose. È che qui che ho conosciuto mio
marito e che ho costruito il futuro dei miei figli. Sono una donna semplice con
un viso solcato da rughe in grado di raccontare storie dimenticate da tutti.
Forse non servo a molto, sono solo un baluardo di un mondo che non c’è più. Un
ultimo guardiano ignorato dall’umanità. Ma non sarò mai un peso per nessuno.
Willy,
il fedele cane che mai mi abbandona, mi corre incontro dopo una corsa. Ho le
mani sporche di terra, ma lui non ci fa caso e mi porge la testa per farsi
carezzare.
È
un bravo cane.
Alzo
lo sguardo verso il cielo, la nebbia si è diradata e ha lasciato spazio ad un
sole magnifico. Il tempo di una passeggiata verso la madonnina e poi a casa per
preparare il pranzo.
È
la mia vita.
- Andiamo Willy!
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