Questo titolo nasce in un momento in cui stavo
ascoltando Eleanor Rigby e, mentre Father McKenzie stava scrivendo parole
per un sermone che nessuno avrebbe mai ascoltato, ho pensato alla solitudine. Lonely People.
Un luogo comune dice che siamo sempre più soli, che anni
fa c’era più solidarietà e si stava più tempo insieme. Oggi non si condivide
molto e spesso non si conosce il vicino di casa, nonostante i 620 contatti su Facebook e i 1921 su LinkedIn.
L’esperienza della grande città mi dice che gli
anziani, quando possono, si incontrano per giocare a carte e per parlare. I
giovani parlano poco, molto di meno. È chiaro che la società si è evoluta in
una direzione che ha teso ad isolare le persone e la tecnologia, in alcuni
casi, ha eliminato il necessario contatto diretto. Ovviamente non è lo
strumento sbagliato, è l’uso che se ne fa.
Fatto sta che ci sono molte persone che non hanno un
vero gruppo di appartenenza con cui condividere giornalmente quello che vivono.
Qualcuno a cui raccontare come va, qualcuno con cui sfogarsi, prendere una
birra ghiacciata o vedere un tramonto sul mare. Spesso per fare queste cose non
basta una moglie o un marito, serve altro. Un amico, un conoscente, un gruppo,
qualcuno che non ti faccia sentire solo.
Nel dopoguerra, tanto era forte il desiderio di
ripartire che c’era un energico sentimento di comunione di intenti e di
obiettivi. Forse un lungo periodo di benessere ha portato le persone a guardare
solo il proprio orto, a voler incrementare il proprio patrimonio perdendo il
gusto della condivisione e della felicità dello stare insieme a guardare il
tempo che passa.
Poi le varie crisi (finanziarie, morali, etiche e
religiose) hanno aumentato le difficoltà di coloro che probabilmente non hanno
molto tempo per porsi altre questioni che potrebbero impedire di rimanere
attaccati al sogno del benessere perpetuo.
Oggi è disgraziatamente così. Lo vedo con le persone
che incontro tutti i giorni e che, anche se non so come si chiamano, saluto
puntualmente. Una percentuale prossima a cento o non mi risponde o mi risponde
a mezza bocca. E se non c’è nemmeno il saluto figuriamoci il resto.
È un peccato perché la condivisione dà un senso a
molte cose e i contatti umani ci rendono persone migliori anche per il solo
fatto di farci svagare, sognare e divertire.
Ogni essere umano ha bisogno di dare e ricevere amore
(ok, l’ha già detto qualcun altro!), intendendo amore in un senso esteso, anche
come attenzione, cura e condivisione.
Affrontare questi temi sembra spesso sinonimo di
retorica di basso spessore alla “vogliamoci bene tutti” o “la guerra è brutta e
viva la pace”. Il pericolo c’è. Ma non voglio dire che dobbiamo creare una
società diversa basata sull’altruismo e sull’amore.
Nessuna utopia del genere. Più semplicemente siamo una
civiltà di persone sole, più sole di quanto non fossimo in altre epoche e forse
la vera crisi di valori che vediamo nel mondo ogni giorno è causa e conseguenza
di questa solitudine.
Vista
l’apertura di questo post, non posso che chiudere con All you need is love e Life
is very short, and there's no time for fussing and fighting, my friend.
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