Prendo il primo volo utile per il
mio ritorno a casa. L’ennesimo.
In questo caso lo sfondo non è
quello di qualche cerimonia, non si tratta infatti di battesimi, matrimoni o
altri sacramenti. Ho deciso semplicemente di venire a trovare i “Miei” visto che l’ultimo nostro
incontro risale ormai a più di un anno fa e non ho potuto rimandare ancora.
Appena scendo dall’aereo riconosco
subito la mia Terra, diversa da dove vivo ormai da anni. Quasi stento a
immaginare che possa essere sempre la stessa. Bruciata ma al tempo stesso
rigogliosa, immobile e inspiegabilmente viva. Esco dal mio gate e il passo cadenzato di mio fratello si staglia su uno sfondo
di mare e colline raccolti insieme. Mi accompagna alla nostra auto e nel
percorso verso casa non vola una parola. Un po’ la mia stanchezza un po’ la sua
perenne difficoltà di comunicare. Sta di fatto che i nostri sguardi si
incrociano solamente alla prima rotatoria, pronti a scrutare le altre sparute
auto che provengono da sinistra.
Lungo il nostro percorso
incontriamo solo il vuoto, passiamo per alcuni piccoli centri dell’entroterra e
le serrande sono tutte abbassate.
Improvvisamente sbuca dall’asse mediano una processione preceduta dal
Santo, portato a tracolla da due vecchi ragazzi, e subito incalzata dal prete
con il suo aspersorio. Dietro, uno stuolo di ottuagenarie, probabilmente
vedove. I loro passi sono lenti ma allineati. Ci avviciniamo con l’auto mentre
di sottofondo il notiziario alla radio descrive la viabilità della costa
occidentale.
Un chiaro: “Prega per noi” mi
risveglia dall’ipnosi mentre mio
fratello riprende a pigiare sull'acceleratore.
Il vento riprende a soffiare forte
sugli sportelli.
Arriviamo a casa con una
puntualità che non si addice alla mia famiglia. Scarico i pochi bagagli che ho
con me e abbraccio mia madre. Come ogni volta piovono lacrime che si acquietano
immediatamente, non appena mio padre mi chiede informazioni sul viaggio. Entro
in casa e continuo a non avere granché voglia di parlare. Normale mi dico.
Le ore trascorrono così,
velocemente. Si avvicina la cena e stranamente si inizia a mangiare prima delle
20:00. Penso che qualcosa sia cambiato. Forse, le mie convinzioni di sempre non
erano corrette. Forse.
Mio padre mi chiede informazioni
sul lavoro, mia madre si informa su Chiara e del perché non sia scesa con me.
Le solite domande a cui do le solite risposte. Finisco rapidamente la mia
razione; la cucina di casa, come sempre, mi fa cadere nel più profondo dei
vuoti pneumatici. È come un salto indietro nel tempo.
Riposo per qualche momento per
poi trovare nuove energie.
Ho deciso, scendo in piazza. Non ci sarà nessuno mi
dico, ma poco mi importa. L’altra possibilità è rimanere a casa a parlare di
matrimonio e posizione. Di analisi e controlli.
Del nulla.
Non ce la posso fare, saluto
tutti e prendo la mia vespa con destinazione piazza Roma. Per le vie della Litoranea non incontro nessun auto, lungo i bordi della strada ampie macchie di
sabbia cercano di impossessarsi del manto stradale.
Le schivo con maniacale precisione.
Intorno sento gli spruzzi delle
onde non molto distanti mentre, da lontano, intravedo il centro della mia “Città”. Il centro dove ho trascorso i
miei primi 18 anni di vita.
Parcheggio la vespa e immagino il
mio ingresso al bar, davanti la vecchia sala giochi dove da qualche anno è
stata aperta una slot room. Prefiguro
i volti dei miei vecchi amici, superstiti. Vedo i loro sorrisi, avverto i loro
abbracci. Immagino probabilmente un
posto che non esiste.
Mi giro intorno e la piazza, come tutto il resto, è disperatamente
vuota e silenziosa. Pochi volti in giro e nemmeno uno che riconosco familiare.
Continuo a peregrinare per le vie del, seppure piccolo, centro. Rivedo le mura dove mi poggiavo con tutta la
schiena bagnata di sudore, incontro le finestre ai piani terra dove donne
anziane che non esistono più mi offrivano bicchieri di acqua. All’angolo la
cabina telefonica per cui si faceva la fila per telefonare, dove ascoltavo il
rumore incessante dei gettoni fatti scivolare tra le dita di mia madre.
Sono appena le 22:00 e guardando
attorno non vedo che una città vuota. Solo qualche adolescente alle porte dei
bar. Più giù, nel fondo della sala adibita a casinò, incontro lo sguardo di un
ragazzo della mia età che sembra avere 50 anni. È li fermo davanti al suo
videopoker.
Mi guardo intorno per qualche
minuto e decido di risalire in sella alla mia vespa. Corro sul lungomare che
dorme, mi avvicino agli stabilimenti caduti in letargo.
Intorno a me poche luci. Anche
quelle dei lampioni sembrano voler chiudere i loro occhi per prendere sonno.
Scendo sulla spiaggia camminando quasi a rallentatore.
Mentre affondo le mani
nella sabbia ripenso al bracciolo del mio divano, all’odore delle stoviglie
sporche in cucina, ad ogni banale oggetto di casa mia che sembra mancarmi come
l’ossigeno.
Penso a Chiara.
Lontano una nave invia chiari
segnali di luce verso il faro alle mie spalle, il tutto a tempo con le onde che
lambiscono la riva.
Questa è la mia Terra questa
notte.
Sembra di stare in un film.
Prendo il primo volo utile per il
mio ritorno a casa. L’ennesimo.
In questo caso lo sfondo non è
quello di qualche cerimonia, non si tratta infatti di battesimi, matrimoni o
altri sacramenti. Ho deciso semplicemente di venire a trovare i “Miei” visto che l’ultimo nostro
incontro risale ormai a più di un anno fa e non ho potuto rimandare ancora.
Appena scendo dall’aereo riconosco
subito la mia Terra, diversa da dove vivo ormai da anni. Quasi stento a
immaginare che possa essere sempre la stessa. Bruciata ma al tempo stesso
rigogliosa, immobile e inspiegabilmente viva. Esco dal mio gate e il passo cadenzato di mio fratello si staglia su uno sfondo
di mare e colline raccolti insieme. Mi accompagna alla nostra auto e nel
percorso verso casa non vola una parola. Un po’ la mia stanchezza un po’ la sua
perenne difficoltà di comunicare. Sta di fatto che i nostri sguardi si
incrociano solamente alla prima rotatoria, pronti a scrutare le altre sparute
auto che provengono da sinistra.
Lungo il nostro percorso
incontriamo solo il vuoto, passiamo per alcuni piccoli centri dell’entroterra e
le serrande sono tutte abbassate.
Improvvisamente sbuca dall’asse mediano una processione preceduta dal
Santo, portato a tracolla da due vecchi ragazzi, e subito incalzata dal prete
con il suo aspersorio. Dietro, uno stuolo di ottuagenarie, probabilmente
vedove. I loro passi sono lenti ma allineati. Ci avviciniamo con l’auto mentre
di sottofondo il notiziario alla radio descrive la viabilità della costa
occidentale.
Un chiaro: “Prega per noi” mi
risveglia dall’ipnosi mentre mio
fratello riprende a pigiare sull'acceleratore.
Il vento riprende a soffiare forte
sugli sportelli.
Arriviamo a casa con una
puntualità che non si addice alla mia famiglia. Scarico i pochi bagagli che ho
con me e abbraccio mia madre. Come ogni volta piovono lacrime che si acquietano
immediatamente, non appena mio padre mi chiede informazioni sul viaggio. Entro
in casa e continuo a non avere granché voglia di parlare. Normale mi dico.
Le ore trascorrono così,
velocemente. Si avvicina la cena e stranamente si inizia a mangiare prima delle
20:00. Penso che qualcosa sia cambiato. Forse, le mie convinzioni di sempre non
erano corrette. Forse.
Mio padre mi chiede informazioni
sul lavoro, mia madre si informa su Chiara e del perché non sia scesa con me.
Le solite domande a cui do le solite risposte. Finisco rapidamente la mia
razione; la cucina di casa, come sempre, mi fa cadere nel più profondo dei
vuoti pneumatici. È come un salto indietro nel tempo.
Riposo per qualche momento per
poi trovare nuove energie.
Ho deciso, scendo in piazza. Non ci sarà nessuno mi
dico, ma poco mi importa. L’altra possibilità è rimanere a casa a parlare di
matrimonio e posizione. Di analisi e controlli.
Del nulla.
Non ce la posso fare, saluto
tutti e prendo la mia vespa con destinazione piazza Roma. Per le vie della Litoranea non incontro nessun auto, lungo i bordi della strada ampie macchie di
sabbia cercano di impossessarsi del manto stradale.
Le schivo con maniacale precisione.
Intorno sento gli spruzzi delle
onde non molto distanti mentre, da lontano, intravedo il centro della mia “Città”. Il centro dove ho trascorso i
miei primi 18 anni di vita.
Parcheggio la vespa e immagino il
mio ingresso al bar, davanti la vecchia sala giochi dove da qualche anno è
stata aperta una slot room. Prefiguro
i volti dei miei vecchi amici, superstiti. Vedo i loro sorrisi, avverto i loro
abbracci. Immagino probabilmente un
posto che non esiste.
Mi giro intorno e la piazza, come tutto il resto, è disperatamente
vuota e silenziosa. Pochi volti in giro e nemmeno uno che riconosco familiare.
Continuo a peregrinare per le vie del, seppure piccolo, centro. Rivedo le mura dove mi poggiavo con tutta la
schiena bagnata di sudore, incontro le finestre ai piani terra dove donne
anziane che non esistono più mi offrivano bicchieri di acqua. All’angolo la
cabina telefonica per cui si faceva la fila per telefonare, dove ascoltavo il
rumore incessante dei gettoni fatti scivolare tra le dita di mia madre.
Sono appena le 22:00 e guardando
attorno non vedo che una città vuota. Solo qualche adolescente alle porte dei
bar. Più giù, nel fondo della sala adibita a casinò, incontro lo sguardo di un
ragazzo della mia età che sembra avere 50 anni. È li fermo davanti al suo
videopoker.
Mi guardo intorno per qualche
minuto e decido di risalire in sella alla mia vespa. Corro sul lungomare che
dorme, mi avvicino agli stabilimenti caduti in letargo.
Intorno a me poche luci. Anche
quelle dei lampioni sembrano voler chiudere i loro occhi per prendere sonno.
Scendo sulla spiaggia camminando quasi a rallentatore.
Mentre affondo le mani
nella sabbia ripenso al bracciolo del mio divano, all’odore delle stoviglie
sporche in cucina, ad ogni banale oggetto di casa mia che sembra mancarmi come
l’ossigeno.
Penso a Chiara.
Lontano una nave invia chiari
segnali di luce verso il faro alle mie spalle, il tutto a tempo con le onde che
lambiscono la riva.
Questa è la mia Terra questa
notte.
Sembra di stare in un film.
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