Miyajima

Miyajima

martedì 7 aprile 2015

Picchio Bar


Fermo ogni dialogo subito sul nascere, non mi importa di essere sgarbato.

Trascorro il mio tempo a lavorare, ad ascoltare, ad immaginare le cose.

Immaginarle come dovrebbero essere.

Sono in un continuo stato di trance.  Mi sveglio, mi vesto, vengo qui al lavoro e penso che in fondo sia come salire su un'auto e mettere il cambio automatico. Rispondo il più delle volte, alle persone che continuamente mi chiedono ordinazioni, senza nemmeno ascoltare. 

Procedo dritto come il treno sul suo binario. Un treno di cui non conosco la destinazione.

           - Un caffè per favore.

Continua ogni momento di queste mie giornate ad essere infinito


    - Un cappuccino poco schiumato e un cornetto quando puoi.
   Per me una spremuta per favore.

   Andrea ci pensi tu? Abbiamo un cappuccino poco schiumato, una         spremuta e il caffè del signore è macchiato.



Annuisco. Guardo basso e non rivolgo parola, nemmeno a me stesso. Vedo fuori la tiepida luce del mattino pronta a riflettersi sulle ampie vetrate di questo luogo. Davanti a me la macchina del caffè che conosco meglio del lavandino di casa mia.
Mi ci tuffo dentro ogni volta come se dovessi detergermi il volto. Prendo le tazze una ad una con una perizia certosina. 
Non ne avverto quasi più il peso e la consistenza. 

Penso che se qualcuno un giorno dovesse chiedermi di cosa sono composte queste tazzine non saprei rispondere. Certo porcellana, vetro… toccare un oggetto tutti i giorni della tua vita ti porta ad essere più attento ad assegnare significati.

   Andrea quando hai finito per favore passa la scopa qui                 davanti la cassa, la signora di prima non ha avuto                     nemmeno la cortesia di chiedere scusa…

   Subito.



Riesco a parlare e questo ogni volta mi sorprende. 
Vedo fuori e dentro di me, vedo dentro gli occhi della gente. 
Riconosco quello che provano, quello che pensano. 
Quello che immaginano che io sia.
Si intervallano da ormai anni, ogni giorno, miriadi di storie di uomini e donne. 
Storie che pesano sui loro volti, li segnano. Davanti ai miei occhi è inutile provare a nascondere ciò che si prova, riconosco ogni emozione dell’avventore. In ognuna di quelle facce riconosco ciò che le stesse cercano di celare. 

Abbandono, stanchezza, dolore, frustrazione, paura, superbia, gioia.
Anche le cose più belle vengono sempre celate dietro un cortese “quando puoi”, dietro l’ennesimo “per favore”, attraverso una mal celata tranquillità che nasconde la frenesia del momento. Vedo le passioni del momento dietro ogni richiesta. Ascolto quello che le labbra serrate non riescono ad arginare. Ogni volta, dietro a queste persone, inizio a pensare. Batto il caffè all’interno del suo contenitore, lo stringo forte nell’apice della macchina davanti a me ed immagino l’acqua bollente inoltrarsi lungo le serpentine che concludono il loro percorso nel caffè che ho appena tamponato.

In ognuno di questi percorsi vedo la vita di chi ho davanti. Vedo lo sguardo di una donna fermo davanti a sé. Fissa i chicchi di caffè e dentro ognuno di essi sembra perdersi. 
Mi volto, le porgo il caffè che mi aveva chiesto e senza battere ciglio mi chiede se poco prima era passato un uomo di alta statura, con i capelli bianchi e una giacca blu.
Rispondo di non ricordare. La verità. Sono sicuro che si sia inventata il tutto per provare a vedere cosa si prova ad essere alla ricerca di qualcuno.

Passo avanti, il mio turno sta per finire. 
Raccolgo gli ultimi spiccioli della mancia, mi tolgo la camicia da lavoro e saluto i colleghi che chiudono il turno. La giornata è  quasi finita.

Esco e un tramonto armonioso, rimbalzando dietro la porta a vetri, disegna il mio volto.

   Scusa hai da accendere?

   No, mi spiace. Ho smesso.

  



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