Miyajima

Miyajima

mercoledì 9 luglio 2014

(DE)FIN(I)ZIONE DI AVVOCATO


Bisogna fare rete. È l’imperativo che il mio capo ha diffuso tra i suoi fedeli. Io sono tra questi. Conoscere, promuovere, lavorare. Più persone ci conoscono, più abbiamo possibilità di lavorare per loro. Non dobbiamo avere timore di far vedere che siamo bravi e disponibili. Siamo disposti a lavorare gratis, almeno per un po’, pur di fare rete.
Abbiamo a disposizione tonnellate di biglietti da visita, sito internet ed una squadra di avvocati sorridenti. Io seguo piccole e medie imprese. Per questo il mio capo ha detto che è fondamentale entrare in associazioni tra imprese, presidiare il territorio, avere visibilità. Siamo diventati partner di un’associazione di cui non ricordo il nome, forse per un processo di censura.
 
C’è un grosso fervore in questo momento nel mio studio. Il fatturato del semestre è aumentato in modo consistente. Chi gode di una fetta della torta esulta. Anche gli altri esultano, forse speranzosi di carriera.
 
 
È ora di pranzo e andiamo al solito ristorante all’angolo. Nel tragitto a piedi avverto la sensazione di essere un corpo, mentre la mente è altrove, stufa di indossare la maschera che mi rende riconoscibile nella società di cui faccio parte. I miei colleghi scherzano e ridono su una causa –vinta– appena conclusa. Non capisco cosa ci sia di divertente nell’aver condannato una persona ad un grosso risarcimento.
 
 
 
«Avete fatto caso? Hanno tagliato il tiglio che era lì» dico indicando un quadrato di terra nel cemento in cui rimane qualche radice come traccia dell’albero.
In un attimo ho tutti gli sguardi addosso. Mi guardano come se fossi un alieno, facendomi capire che a loro non è mai importato nulla di quello o di altri alberi.
«Tiglio? Ma se io non so distinguere nemmeno un pino da una palma!» Dice Masi, uno dei soci dello studio. Gli altri ridono e in un attimo tornano a parlare della causa.  
 
Sento un insopportabile disagio. Prendo il telefono dalla tasca ed esclamo goffamente «pronto?», ma dall’altra parte non c’è nessuno. Mi consente di rimanere un passo indietro rispetto ai miei colleghi, mentre spero che nessuno si sia accorto della mia finta. Gli altri entrano nel ristorante, non curanti della mia assenza. Mi sento stranamente vicino al tiglio che non c’è più.
 
 
Attendo un minuto per dare senso alla farsa, come se importasse a qualcuno, e poi mi decido a varcare la soglia. Il proprietario saluta il mio ingresso con «buongiorno avvocato!».
Ancora una volta, Avvocato. Potrei svenire da un momento all’altro, invece trovo posto nella tavolata.
In fondo, Masi è a capotavola. Vicino a lui, ci sono quelli che aspirano a fare carriera, quelli che ridono di più alle sue battute. A seguire fino ai due praticanti. A me hanno lasciato l’ultimo posto. Sembra di vedere le figure che spiegano ai bambini la distribuzione del potere nell’antico Egitto: il faraone, i sacerdoti e così via fino agli schiavi.
 
Sfoglio il menù distratto ed ascolto Masi che racconta del viaggio che sta programmando questa estate. Sento che spara cifre dei costi degli alberghi, collegando ciascun prezzo ad una parcella incassata. Il ragazzo di fronte a me, ventisei anni, ha gli occhi che brillano. Ride anche lui, pensando che stia nel posto giusto, dove è tutto oro quel che luccica.
 
Mangio un piatto di insalata insapore. Le parole dei miei colleghi avvocati o aspiranti tali provengono da un mondo lontano e si perdono in echi sbiaditi senza attecchire nei miei pensieri.
 
«Giorgi?»
Quella parola cattura la mia attenzione. «Giorgi? Ma ci sei?»
Mi giro e vedo Masi che parla nella mia direzione. «Non starai mica ancora pensando al pino qui fuori vero?»
Risate. «Senti, scherzi a parte, ho saputo che sabato vai all’incontro di Federimp.»
Già, Federimp è l’associazione di cui siamo diventati soci. Sabato e domenica è previsto un convegno importante. Lo studio ha inviato me come rappresentante.
Annuisco. Nella testa torna prepotente il nervosismo. Devo sacrificare un fine settimana –non retribuito– per stare dietro a questo lavoro –e ufficio– che odio ogni giorno di più.
«Mi raccomando, è una grossa opportunità.» Alle parole di Masi gli altri annuiscono percependo l’importanza della cosa.
Quello che so io è che sacrificherò un fine settimana della mia vita che nessuno mi ridarà indietro.
 
Sorrido. L’automatismo fa muovere la maschera che porto in viso. Un conato sfiora i miei pensieri mentre un collega paga il conto a Masi che ricambia con una pacca sulla spalla.
 
Ci prepariamo a percorrere il tragitto al contrario. Il vuoto lasciato dal tiglio è ancora lì. Sono ancora in fondo alla coda, Masi ancora in testa.
Sono pronto a chiarire che sono un uomo, non un avvocato, che sabato non andrò a quel convegno e che lavorerò solo in modo sostenibile nel rispetto della mia e dell’altrui persona. Non mi interessa della reazione degli altri. Io sono io, a prescindere. Non soddisferò le esigenze di persone all’infuori di me e dei miei cari.
 
Prendo fiato.
 
Dling! L’ascensore si apre al piano. Il sorriso torna sul mio viso senza che lo voglia davvero. Mi siedo al mio posto, dietro alla scrivania piena di carte.
 
Avvocato Giorgi.

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